La storia di Cassius Clay viene raccontata ormai da molti anni: diversi autori ci hanno parlato del pugile leggendario che “vola come una farfalla e punge come un’ape”. Ora il libro di Massimo Cecchini, “Muhammad Ali – Il guerriero che sapeva volare” (Diarkos, 294 pagine, 18 Euro), lo fa in una maniera caratteristica ed avvincente, immaginando la vita del grande pugile come un incontro. O meglio come “l’Incontro”, quello che più ha segnato la sua storia: gli otto round che lo portarono a battere Foreman.
“Se la vita di ognuno di noi finisce per essere un combattimento contro il mondo e i fantasmi che ci portiamo dietro, quella di Cassius Clay – l’uomo che volle diventare Muhammad Ali – può essere raccontata in otto riprese, tante quanti i round che gli furono necessari per battere George Foreman nel match più importante della sua carriera, e forse della storia della boxe”. Partendo dalle origini, Massimo Cecchini delinea il vissuto di Clay: “E’ giusto cominciare dalla famiglia, o meglio ancora dalle radici.” Discendeva da irlandesi, e sappiamo addirittura che annoverava tra i suoi antenati un veneziano: un tale Bartolomeo Taliaferro che nel 1500 viveva nella Repubblica del Leone di San Marco.
Delineate le origini, nel “secondo round”, o meglio capitolo, inizia la sua carriera da pugile: la serie di incontri che lo portarono alla grande sfida già menzionata e la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Roma. Una serie di eventi che lo definirono come atleta, ma ancor di più come uomo. È nota a tutti la storia della sua conversione all’Islam. Fu il padre, Cassius Marcellus Clay senior che annunciò: ”Mio figlio è diventato musulmano”. Fu poi lui a confermarlo in una conferenza stampa, dopo aver vinto il titolo mondiale: “Io credo in Allah e nella pace: adesso non sono più un cristiano, so dove andare e conosco la verità”.
Inoltre, qualsiasi autore che si rispetti, che decide di parlare dell’illustre nome della boxe, non può non considerare il grande atleta come una figura dal forte valore politico. Già il cambio del nome in Muhammad rappresentò una forte cesura con il “mondo bianco” al quale non sentiva di appartenere; e nel rifiuto della guerra in Vietnam sanciva la sua idea di convivenza tra esseri umani. È famosissima la frase: “Nessun vietcong mi ha mai chiamato negro”. Ma la guerra in Vietnam e i confronti sul ring non furono gli unici conflitti che dovette affrontare, come ci fa ben notare l’autore: “Il match contro mia moglie fu il più duro”. Difatti fare di Ali un’icona, un eroe senza macchia non è del tutto giusto. Per quanto sia stato un grande personaggio, anch’egli ha avuto i suoi punti deboli, soprattutto nel rapporto con le donne che non trattò con il rispetto dovuto.
Massimo Cecchini con il suo libro ci regala un bel racconto. Una storia che in molti hanno già visto o letto, ma che non è mai scontata e banale dato che parlare di una figura così importante offre sempre occasione di sottolineare sfumature fino a prima mai viste. Lo stile e la forma sono estremamente leggeri: è come una storia adatta alle serate invernali davanti ad un camino acceso. Un libro davvero ben scritto, per gli appassionati di pugilato e non solo.
Dario Palmesano