Il rapper franco-casertano Speranza “caccia ’o fierr’” ma anche il suo primo libro

Il rapper franco-casertano Speranza “caccia ’o fierr’” ma anche il suo primo libro

Speranza, l’artista rap franco-casertano ultimamente in gran voga tra i giovani, esordisce con il suo primo libro: “L’ultimo a morire” (Rizzoli, 256 pagine, 17 Euro). Il rap, come è noto a tutti, nasce quale espressione di disagio sociale, è uno strumento di denuncia utile alla rottura delle barriere tra i degradati quartieri dormitorio e i centri scintillanti delle città. L’autobiografia di Speranza raccontata nel volume è la traduzione dell’appena citato concetto; in sostanza il lettore si accorgerà che proprio lui non poteva che esprimersi attraverso questo particolare genere musicale. In “L’ultimo a morire” il rapper ci conduce nella sua avventura, cominciata in Italia da padre campano e madre francese; una storia di disagi e segregazione che esplode al momento del suo trasferimento in Francia dopo la separazione dei genitori: è qui che prende forma la sua vita di periferia in contatto con altri emarginati, emigranti, confinati in quel recesso della società che tutti conosciamo come “banlieue” (ad essere precisi, esclusivamente le periferie parigine sono chiamate in tal modo, ma ormai il senso comune associa questo nome agli edifici di edilizia popolare di tutte le città francesi).
Vivere le ingiustizie sulla propria pelle, porta il giovane Ugo Scicolone (così l’artista si chiama all’anagrafe) a comprendere il suo posto nel mondo. Tra microcriminalità, spaccio di sostanze stupefacenti e alcolismo adolescenziale, muove i primi passi nel rap grazie all’amicizia con Furkan, un giovane curdo; è lo stesso Speranza a specificare che ha iniziato a rappare in un covo di rivoluzionari legati al PKK, circondato da immagini di Ocalan, leader storico del popolo curdo. Non poteva perciò non avere un occhio di riguardo, nei testi delle sue canzoni, per chi ogni giorno soffre l’ingiustizia: visione ben espressa nel brano “Casertexas” del suo album (intitolato “L’ultimo a morire” proprio come il libro), in cui ad un certo punto blocca la traccia chiedendo agli ascoltatori “due barre di silenzio per le vittime di Gaza” (una barra corrisponde a una battuta di quattro quarti nella ripartizione musicale).
Il libro è molto scorrevole, un insieme di racconti, quasi come se leggendolo stessimo seduti su una panchina nelle strade di Caserta a parlare con l’autore. E Speranza ci illustra la sua vicenda attraversando periodi incerti che ogni uomo vive nella propria esistenza e ogni artista nella sua carriera. Insomma, quella di Speranza è una storia vera, cruda, ma lontana dagli stereotipi del rap criminale: non ostenta mai ciò che non ha nel suo bagaglio e che non ha vissuto in prima persona; Ugo è “real rap” (rapper veritiero). La violenza verbale che traspare dai testi dei suoi brani, frutto di ciò che ha vissuto e che ha ben raccontato nel suo libro, non è un’invocazione ad essa; la sua è comunque una lettura rude della realtà: esempio ne è “Sparalo”, alla quale si è ispirato il titolo di questa recensione, in cui il rapper fa riferimento a chi appunto “caccia ’o fierr’” (cioè estrae la pistola). “L’ultimo a morire” è il libro per chi, da un lato, vuole conoscere questo artista franco-casertano, ma dall’altro è la lettura per chiunque voglia vivere una narrazione di periferia senza filtri, scoprendo anche argomenti scomodi e poco condivisibili per il senso comune; ma tragicamente autentici, elementi della biografia di moltissimi giovani che sopravvivono ai margini dei patinati centri delle metropoli.

Dario Palmesano

Commenta con Facebook