PIGNATARO MAGGIORE – Se ancora vi fosse stata la necessità di una conferma, ecco la dimostrazione che l’Amministrazione Magliocca non ha alcuna intenzione di fare sul serio in materia di beni confiscati alle cosche camorristico-mafiose sul territorio di Pignataro Maggiore, famigerata città conosciuta quale “Svizzera dei clan”. Nella seduta del 10 luglio 2016, infatti, il Consiglio comunale ha approvato a maggioranza con deliberazione numero 29 il “Regolamento costitutivo dell’Istituzione Comunale per i Beni Confiscati” che risulta essere stato scopiazzato qua e là, anche dal regolamento della “Istituzione biblioteche del Comune di Bologna”. E si comprende – nel resto del mondo, non a Pignataro Maggiore – che c’è una differenza notevole tra una “Istituzione” che si interessa di biblioteche e un’altra che si dovrebbe occupare di beni confiscati in una delle capitali nazionali e internazionali della mafia, quale è la “Svizzera dei clan”.
Si legge, per esempio, nel regolamento pignatarese del 2016 (ottava pagina): “L’Istituzione ha la capacità di compiere i negozi giuridici necessari al perseguimento dei compiti che le sono stati affidati, nel rispetto degli indirizzi forniti dagli organi di governo comunale e della disciplina dettata dallo Statuto e dal presente Regolamento”. E’ la copia di quello bolognese del 2008 (articolo numero 5): “L’Istituzione ha la capacità di compiere i negozi giuridici necessari al perseguimento dei compiti che le sono stati affidati e, in particolare, nel rispetto degli indirizzi forniti dagli organi di governo comunali e della disciplina dettata dallo Statuto e dal presente Regolamento (…)”. Pubblichiamo in coda a questo nostro articolo la citata deliberazione del Consiglio comunale di Pignataro Maggiore numero 29 (oggetto: “COSTITUZIONE DI UNA ISTITUZIONE COMUNALE PER I BENI CONFISCATI. APPROVAZIONE DEL REGOLAMENTO”), appunto il regolamento pignatarese e quello (ma relativo, come si detto, alle biblioteche) bolognese.
Più estesa e precisa (parola per parola, virgola per virgola) la scopiazzatura nella seconda pagina del ““Regolamento costitutivo dell’Istituzione Comunale per i Beni Confiscati” pignatarese del 2016, che recita tra l’altro: “Tutti gli attuali studi sul fenomeno mafioso in Italia e nel mondo delineano complessità crescenti: in particolare, si sono moltiplicati i mercati di interesse criminale con modalità sempre nuove di azione e di radicamento sociale e culturale delle diverse organizzazioni. In tutto questo, uno solo sembra essere l’elemento capace di unire le tante sfaccettature del fenomeno mafioso: la sua potenza economica in continua e costante crescita, nonostante la crisi che attraversa, trasversalmente, i mercati globalizzati. Basterebbero queste poche righe per delineare l’importanza del processo di confisca dei beni patrimoniali ai boss mafiosi e del loro successivo riutilizzo a fini sociali. Riportare nelle mani della cittadinanza le ingenti ricchezze acquisite in maniera illegale, assume prima di tutto il profondo significato di rafforzare l’immagine dello Stato, soprattutto in territori dove il degrado ha creato un vuoto normativo e sfiducia nei confronti delle istituzioni. In questa ottica i beni confiscati alle mafie rientrano nella più classica definizione di bene comune ed il loro riutilizzo un vero e proprio servizio sociale rivolto alla collettività ed al suo accrescimento etico e culturale: centri di recupero, cooperative, associazioni diventano il fulcro di una nuova vita cittadina, restituiscono spazi sottratti illegalmente, rappresentano un segno tangibile della rivincita di un’intera comunità”.
Sono parole copiate di sana pianta da un “quaderno” del 2012 (titolo: “Dal bene confiscato al bene comunale”) della “Fondazione Tertio Millennio onlus”, con sede in Roma, testi di Tatiana Giannone, introduzione di Luigi Ciotti, pagina 9: “Tutti gli attuali studi sul fenomeno mafioso in Italia e nel mondo delineano complessità crescenti: in particolare, si sono moltiplicati i mercati di interesse criminale con modalità sempre nuove di azione e di radicamento sociale e culturale delle diverse organizzazioni. In tutto questo, uno solo sembra essere l’elemento capace di unire le tante sfaccettature del fenomeno mafioso: la sua potenza economica in continua e costante crescita, nonostante la crisi che attraversa, trasversalmente, i mercati globalizzati. (…) Basterebbero queste poche righe per delineare l’importanza del processo di confisca dei beni patrimoniali ai boss mafiosi e del loro successivo riutilizzo a fini sociali. Riportare nelle mani della cittadinanza le ingenti ricchezze acquisite in maniera illegale, assume prima di tutto il profondo significato di rafforzare l’immagine dello Stato, soprattutto in territori dove il degrado ha creato un vuoto normativo e sfiducia nei confronti delle istituzioni. In questa ottica i beni confiscati alle mafie rientrano nella più classica definizione di bene comune: centri di recupero, cooperative, associazioni diventano il fulcro di una nuova vita cittadina, restituiscono spazi sottratti illegalmente, rappresentano un segno tangibile della rivincita di un’intera comunità”.
Pubblichiamo in coda a questo nostro articolo pure l’appena citato (e scopiazzato) “quaderno” sui beni confiscati della “Fondazione Tertio Millennio onlus”.
Insomma, come ben sanno i nostri pochi ma affezionati lettori, i beni confiscati non sono l’interesse principale del sindaco Giorgio Magliocca e della sua Amministrazione. Se si comincia dal “Regolamento” scopiazzato, non osiamo immaginare che cosa succederà nella gestione concreta dei beni confiscati.
Rassegna Stampa
articolo di Rosa Parchi
da pignataronews.myblog.it