Il ritmo è la forma in cui le parole e i versi si dispongono, forma che valorizza le possibilità musicali e foniche d una lingua.
Il ritmo è fondamentale in poesia. Esso fa in modo che il lettore acquisisca, oltre a quanto dicono le parole, anche un tono generale, che per un certo aspetto è il motivo di una poesia.
Quando la poesia era rigidamente vincolata a forme metriche e strofiche fisse, era più facile collegare il ritmo al tono di una poesia. Ma da quando il verso libero ha scardinato tutte le rigidità dell’Ottocento e della poesia classica, allora è diventato molto più difficile accordare ritmo e tono. Per cui capita spesso di leggere poesie dal tono solenne e dal ritmo disarticolato. E’ necessario che il poeta sappia che non è senza conseguenze la realizzazione di certi ritmi anziché altri.
Ma andiamo con ordine anche a costo di risultare noiosi e pedanti.
In poesia l’accento si chiama ictus. Vi sono ictus primari e secondari. I primi sono quelli su cui la voce si sofferma con maggiore forza e più a lungo, come nella parola ‘sole’, in cui la o calamita su di sé forza e durata. Gli ictus secondari, sono quelli su cui la voce è più debole e meno lunga, come nel vocabolo ‘ràpidaménte’ in cui la prima a contiene un ictus secondario e la prima è un ictus primario. Se provate a leggere la parola, allora vi accorgerete della differenza. In genere termini con ictus secondari convogliano un senso di leggerezza e velocità. Queste vanno utilizzate in poesie leggere, allegre e solari, piene di fiducia e di vivacità.
Leggiamo insieme queste due coppie di versi tratte da due diverse poesie, scritte dallo stesso autore:
Attraverso l’aia
dico al buio parole amichevoli.
Guardo questo cuore incartocciato.
Abbi pietà di tutto il mio secco.
Ebbene, non sfuggirà all’orecchio allenato che nel primo distico la presenza di tre accenti secondari ( attraverso, dicàlbùio, àmichévoli) rende la poesia più squillate, più gioiosa e meno lugubre; mentre un solo accento secondario e tutti gli altri accenti primari della seconda coppia di versi rende la poesia più triste, più melanconica, più dolorosa.
Gli accenti primari possono essere diversi; essi sono, in particolare, di 4 specie:
- ritmo giambico, cioè di due sillabe di cui la seconda accentata: città (- +), oppure ‘solàre séi qui (- + – + – +);
- ritmo trocaico cioè di due sillabe, di cui la prima accentata (+ -): vìta (+ -) : tutte quelle sponde (+ – + – + -);
- ritmo dattilico cioè di tre sillabe con l’accento sulla prima (+ – -): spléndono (+ – -), alzati (+ – -);
- anapestico, cioè di tre sillabe con l’accento sulla terza (- – +): improvvìso (- -+ -), Anch’io cérco (- – + -).
La prevalenza di nuclei ritmici dello stesso segno avrà sicuramente ripercussioni sul senso e sul tono di una poesia. E questi devono essere in accordo con il significato denotativo delle singole parole, altrimenti il lettore rimarrà disorientato e confuso. In generale gli accenti binari sono più semplici e denotano armonia, sia sul versante della luce che sul versate del buio; invece i ritmi ternari sono dissonanti e complessi che servono a disarticolare il messaggio, a renderlo meno regolare, molto più fluido e ascendente (- – +) o molto più legnoso e discendente (+ – -).
Per imparare a riconoscere i ritmi è consigliabile segnare a fianco, o sotto o sopra i versi la successione degli accenti, stando attenti alle sinalefi e alle dialefi. Sinalefe è unire in una sola sillabe due che terminano e iniziano rispettivamente con una vocale, come in ‘inquieta andavo all’abetaia a portare’ (- – + – + – + – + -; fate così:
Sempre caro mi fu quest’ermo colle + – + – – + + – + -.
L’esercitazione può sembrare noiosa ed inutile, ma non lo è, anzi essa è di fondamentale importanza per chi si accinge a scrivere poesia. Senza consapevolezza dei ritmi non c’è poeta, né poesia.
Professor Giuseppe Rotoli