Il libro di Luigi Manconi e dell’arcivescovo Vincenzo Paglia, “Il senso della vita” (Einaudi, 200 pagine, 16,50 Euro), è un confronto tra due concezioni del mondo distanti e, per certi versi, inconciliabili: una ispirata da un profondo senso religioso, l’altra immersa nella società e nella concretezza delle sue contraddizioni e delle sue sofferenze. Ma entrambe tese a cercare, di fronte ai dilemmi che attraversano la vita quotidiana, il significato delle nostre scelte. Luigi Manconi, già docente di Sociologia dei fenomeni politici, è stato parlamentare, sottosegretario di Stato alla Giustizia e presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato. L’arcivescovo Vincenzo Paglia è presidente della Pontificia Accademia per la vita e gran cancelliere del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia.
Un arcivescovo e un sociologo e militante politico si interrogano intorno alle grandi questioni che costituiscono appunto “il senso della vita”: la libertà e i suoi limiti; l’autodeterminazione del singolo e la responsabilità verso gli altri; le preferenze sessuali, le nuove famiglie e il significato attuale di genitorialità; l’accanimento terapeutico e l’eutanasia; l’ingiustizia e il peccato. Il contrasto su temi cruciali per la nostra esistenza e le nostre relazioni interpersonali sembrerebbe negare la possibilità di un progetto comune. Eppure questi due punti di vista, che restano distanti su molte problematiche, potrebbero forse convergere nel profilo di un nuovo umanesimo, dove la riscoperta di un “noi” solidale, nella prospettiva di una cittadinanza universale, sappia valorizzare, e non mortificare, l’autodeterminazione dell’individuo. Sottotitolo del libro: “Conversazioni tra un religioso e un pococredente”. Per Luigi Manconi, “l’umanesimo non ha fallito perché ateo, bensì perché non ha realizzato il suo fondamento costitutivo. Ovvero il rispetto incondizionato dell’umano”; a giudizio di Vincenzo Paglia, “se la nostra vita è sempre mortale, abbiamo la speranza che non lo sia il mistero di amore in cui essa risiede”.
Segnaliamo ai nostri lettori anche un’altra sottolineatura molto interessante di monsignor Vincenzo Paglia: “Purtroppo, molto cristianesimo moderno si è quasi rassegnato a investire i valori della vita eterna
nell’impegno per il benessere della vita presente, caduca corruttibile e mortale. Dirottamento non privo di rischio. E’ vero che il Vangelo suscita umanesimo. Ci mancherebbe altro! Ma per la fede, questa esistenza è il seme, non la fioritura. Insomma, il più bello deve venire: e non è alla portata della nostra volontà di potenza, figlia della disperazione, e delle nostre tecniche di manipolazione, che generano incubi. La vita eterna dell’inaudita promessa di Dio ha perso, nel nostro linguaggio, proprio la sua desiderabile continuità. E proprio così si è svuotata la potenza della sua attrazione verso il cielo di Dio, che è l’unico luogo abitabile per il nostro desiderio di riscatto e di compimento”.
Red. Cro.