Eckhart von Hochheim, teologo, mistico e filosofo tedesco vissuto a cavallo tra XIII e XIV secolo, meglio conosciuto come Meister Eckhart, asseriva che quando l’anima desidera sperimentare qualcosa proietta davanti a sé un’immagine dell’esperienza per poi entrare dentro di essa. Un’idea che dipinge tale rappresentazione come un varco che si apre su nuovi livelli di significato, figura che diviene per l’appunto simbolo, termine che deriva dal greco symbolonovvero “unire”’ “mettere insieme”. Le immagini simboliche hanno giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo delle culture umane proprio per questa loro intrinseca attitudine a unire e collegare: un simbolo non racchiude solo delle informazioni ma rappresenta una fonte infinita e complessa di possibilità.
Chiaramente tale forza incarnata nei segni non poteva non influenzare anche il rapporto tra l’essere umano e la morte: soglia archetipica nell’esistenza terrena di ognuno. Le antiche civiltà elaborarono precisi linguaggi simbolici per incarnare e penetrare il mistero della morte: la codifica e la comprensione di tali linguaggi sono il tema centrale dell’indagine dell’antropologo, storico e giurista svizzero Johann Jakob Bachofen nel libro “Il simbolismo funerario degli antichi” (Editoriale Jouvence, 960 pagine, 32 Euro), testo pubblicato per la prima volta a Basilea nel 1859 e, in questa riedizione, con una profonda presentazione a cura di Arnaldo Momigliano.
Johann Jakob Bachofen, noto soprattutto per la sua monumentale opera “Il Matriarcato”, in questo poderoso saggio indaga la forza del simbolo presso i popoli dell’antichità: una forza in grado di destare esperienze ancestrali e presagi che – secondo l’autore – il linguaggio può solo provare a interpretare. “Il simbolismo funerario degli antichi”, grazie alla sconfinata erudizione dell’autore, è per il lettore una guida attraverso tempi e luoghi in cui l’umanità soggiaceva ancora alla potenza dei segni e della natura, quale fonte e archetipo di ogni forma spirituale. In questo viaggio, il simbolismo legato all’uovo rappresenta un archetipo diffuso in tutte le culture umane, legato alla concezione che vedeva la morte come varco di passaggio per la rinascita e la rigenerazione. L’uovo esprime infatti una valenza simbolica di primo piano nei miti cosmogonici di numerose civiltà che raccontano l’origine del mondo.
Per la tradizione orfica, per esempio, la Notte depose un uovo pieno di vento negli abissi del Tartaro dal quale nacque Phanes o Eros “simile al rapido turbine dei venti” (Aristofane). Per gli antichi egizi l’oca celeste Thot, il Grande Starnazzatore, dio della luna e della sapienza in forma di ibis, depose un uovo cosmico nel cui interno si generò il dio Ra, uccello del Sole e creatore del mondo. Di tale diffusissima relazione tra uovo, morte e rinascita, fornisce una chiara disamina anche Mircea Eliade nel suo “Trattato di storia delle religioni”. Partendo dal simbolismo delle “Tre uova misteriche” Johann Jakob Bachofen analizza le istituzioni matrimoniali, i giochi e il rapporto con il mondo animale, mentre traccia l’affascinante storia dell’evoluzione del simbolismo funerario del mondo antico. Quest’opera può essere considerata, tra le altre cose, un primo esempio di quella “storia delle immagini” che avrà in seguito un profondo e prolifico influsso su autori di grande rilevanza (Aby Warburg e Walter Benjamin), perché – si è già detto – “il simbolo desta presagi, la lingua può solo interpretare”.
Massimiliano Palmesano