Segnaliamo ai nostri affezionati lettori un libro davvero importante, un tassello di fondamentale rilevanza per capire Cesare Pavese: “Il Taccuino segreto” (Nino Aragno Editore, CXXVI-129 pagine, 25 Euro). A settant’anni dalla scomparsa di Cesare Pavese (1908-1950), lontani ormai i clamori suscitati dalla prima segnalazione sulle pagine culturali del quotidiano “La Stampa” nel 1990, viene adesso raccolto in un volume curato da Francesca Belviso, corredato di una introduzione dello storico della cultura Angelo d’Orsi e arricchito della testimonianza inedita dello scopritore, Lorenzo Mondo, nonché di un saggio della stessa curatrice; l’edizione permette inserire a pieno titolo questo scritto nella biografia intellettuale pavesiana.
La ricostruzione della genesi del “Taccuino segreto”, redatto in uno dei periodi più tormentati del percorso esistenziale di Cesare Pavese, induce a contestualizzare questa scrittura diaristica e offre una chiave di lettura per la comprensione di alcuni dei frammenti più problematici dal punto di vista ideologico. Una opportuna antologia degli articoli usciti all’indomani della pubblicazione sulla “Stampa” fornisce, inoltre, un campione delle reazioni più vive espresse da coloro che ebbero Cesare Pavese come sodale e definisce il momento storico del dibattito. Nell’appendice la pubblicazione delle immagini del block notes di 29 fogli permette infine di allontanare ogni dubbio sull’autenticità del documento. La prima edizione del “Taccuino segreto” di Cesare Pavese sembra dunque imporsi come un’operazione doverosa e necessaria, a trent’anni esatti dalla scoperta dell’inedito, poiché fornisce un elemento centrale del ritratto di un autore che ancora oggi sembra oscillare tra la figura dell’idolo inviolato e quella del mito infranto.
Scrive tra l’altro nell’introduzione Angelo d’Orsi: “Forse il ‘Taccuino’, in definitiva, è un atto di resa alla storia, una sconfitta davanti alla politica che domina suo malgrado, e lo schiaccia, oltre che una confessione di impotenza e fragilità. Non si capirebbe, diversamente, quello spazio che vi trovano guerra e politica (…) se non lo considerassimo com’è, ossia un atto di resa alla politica, che tuttavia non gli consente la lucidità necessaria per comprendere il grande gioco in cui gli eventi italiani sono collocati, e neppure per capire fino in fondo chi sono i ‘buoni’ e chi i ‘cattivi’. E schierarsi in modo in equivoco”.
Red. Cro.