Intascavano soldi imponendo cantanti neomelodici e gadget: eseguita ordinanza per affiliati degli Schiavone

Intascavano soldi imponendo cantanti neomelodici e gadget: eseguita ordinanza per affiliati degli Schiavone
Il figlio di Francesco Schiavone "Sandokan", Nicola Schiavone

CASAL DI PRINCIPE – Nelle prime ore della mattinata odierna, ad epilogo di una complessa indagine coordinata dai magistrati della  Direzione Distrettuale Antimafia, Giovanni Conzo, Maurizio Giordano e Antonello Ardituro, coordinati dal procuratore aggiunto Federico Cafiero De Raho e dal procuratore della repubblica di Napoli, Giovanni Colangelo, i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Caserta hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa dall’Ufficio GIP presso il Tribunale di Napoli nei confronti di 12 persone (10 in carcere e 2 agli arresti domiciliari), affiliati e/o fiancheggiatori del clan “dei casalesi” gruppo Schiavone, ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione in concorso, porto e detenzione illegale di armi da fuoco e cessione di sostanze stupefacenti, reati aggravati dalla finalità mafiosa.

I provvedimenti restrittivi costituiscono il risultato di un’articolata e complessa indagine avviata nel gennaio 2009 allo scopo di contrastare le agguerrite compagini facenti capo, all’epoca, a Nicola Schiavone, 33enne, (primogenito di Francesco inteso Sandokan) ed operanti in Aversa e comuni limitrofi.

I primi risultati investigativi avevano già consentito l’emissione di un decreto di fermo, disposto dai magistrati della DDA ed eseguito il 7 giugno 2010, nei confronti di dieci appartenenti al medesimo clan, essendo emersi, all’epoca, oltre al pericolo di fuga, sia l’assoluta necessità ed urgenza di interrompere una pervicace attività estorsiva nei confronti di operatori commerciali della zona di Aversa, sia l’improcrastinabilità di catturare l’ala militare del gruppo, resasi nel frattempo responsabile del tentato omicidio di due affiliati per dissidi interni.

L’indagine, proseguita anche dopo l’esecuzione del provvedimento di fermo, ha permesso di accertare – attraverso attività tecniche corroborate da mirati riscontri alle dichiarazioni rese dai numerosi collaboratori di giustizia, tra i quali spiccano i nomi di Salvatore Laiso, Raffaele Piccolo, Roberto Vargas, Nicola Cangiano, Salvatore Caterino, già organici al clan – che molti degli indagati, capeggiati da Gaetano De Biase e Pietro Falcone, non si limitavano soltanto all’imposizione delle tangenti con metodo “classico” (ovvero con minaccia espressa o velata degli emissari del clan cui consegue la dazione brevi manu della somma estorta), ma si erano specializzati nel seguire un percorso più “raffinato”, pur sempre originato dalla minaccia insita nell’appartenenza al clan, grazie al quale, dietro il “paravento legale” di alcune imprese/agenzie specializzate, più o meno direttamente riconducibili ad affiliati, veniva imposto:

  • a titolari di attività commerciali, l’acquisto di gadgets pubblicitari (calendari, agende, penne, accendini, ecc.) ad un prezzo di gran lunga superiore a quello di mercato, al fine di far conseguire al clan un elevatissimo profitto, grazie ad un rincaro, rispetto all’ordinaria fornitura, di circa il 150% del costo del prodotto. Grazie a tale attività, nel solo periodo natalizio, nelle casse del clan entravano dai 150.000 ai 200.000 euro
  • ad altri operatori (principalmente ristoratori, organizzatori di comitati per feste patronali o di piazza e titolari di emittenti televisive locali) la scritturazione per prestazioni canore di cantanti neomelodici – tra cui, oltre la compagna di Gaetano De Biase, ovvero Rita Ferrara (in arte Ida D’Amore), anche altri cantanti tra i quali Franco D’Amore, cugino di Ida, Nico Desideri, Ciro Riggione, Nico D’Ambrosio, Tony Calise, Mauro Landi, Flavio Marino, Giovanna Romano. Il relativo compenso veniva solo in parte devoluto all’ “artista”, essendo invece in gran parte destinato alle casse del clan o a singoli affiliati.Le indagini hanno, inoltre, evidenziato il ruolo di primo piano rivestito da Silvana Limaldi, vedova di Ettore Falcone, boss di Aversa ucciso a Parete nel 1990 e madre di Pietro Falcone. La donna, nella cui disponibilità erano state rinvenute e sequestrate munizioni e una pistola marca S&W cal. 9×21 con matricola abrasa, oltre a detenere le armi del clan, offriva agli affiliati supporto logistico consentendo l’utilizzazione della propria abitazione per riunioni, alle quali presenziava e partecipava attivamente anche nel ruolo decisionale.

Nel corso delle indagini, sono altresì emerse responsabilità circa la cessione di sostanze stupefacenti del tipo cocaina da parte di Roberto Mallardo, Giuseppe Esposito, 26enne e Carmen Marino.

Nello specifico i predetti acquistavano lo stupefacente per poi cederlo a Salvatore Laiso o consumarlo insieme a lui. Quest’ultima vicenda ha evidenziato la facilità di reperimento della sostanza stupefacente da parte degli affiliati potendo contare su individui totalmente assoggettati nel soddisfare ogni sorta di loro volere.

 
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