Un contesto come quello attuale, che è sempre più on line ed in cui rimane sempre centrale la “conoscenza”, impone un nuovo modo di approcciarsi all’educazione ed alla formazione. La pedagogia e la psicologia si sono interessate da sempre ai processi di apprendimento: molti sono stati i tentativi di descrivere i processi dell’apprendimento umano. In tal senso, primo fra tutti, in ordine di analisi, il Comportamentismo che, sviluppandosi nei primi decenni del Novecento, delinea un primo cambio di prospettiva, in cui l’oggetto di studio non sarà più la coscienza ma il comportamento osservabile, in termini di manifestazioni visibili. Consideriamo allora alcuni esperimenti legati alla teoria comportamentista; l’esperimento del cane ha permesso a Pavlov di definire la sua teoria del condizionamento, alla quale si ricollegò, a distanza di alcuni anni John Watson con l’esperimento del piccolo Albert, che gli permise di mettere a punto il “condizionamento classico”. Consequenziale è stata la presa in analisi di Skinner che, partendo da un’inversione delle fasi del condizionamento classico, elaborò, grazie all’esperimento della superstizione nel piccione, la sua teoria del “condizionamento operante”.In questi stessi anni nasceva e si sviluppava la Psicologia della Gestalt, una vera e propria corrente psicologica di origine tedesca che focalizzò i propri studi sugli aspetti percettivi del ragionamento problem- solving e che contribuì a sviluppare indagini sulla memoria, sul pensiero e sulla psicologia sociale. Motto del movimento era: “il tutto è più della somma delle singole parti”. La mente, pertanto, non poteva essere divisa in vari elementi, così come non si poteva dividere l’esperienza umana nelle sue componenti elementari: quello che siamo e che viviamo, i comportamenti sono il risultato di una complessa organizzazione; la stessa percezione è un processo complesso influenzato da tutte le nostre esperienze passate.
Padri fondatori di tale psicologia furono Koffka, Wertheimer e Kohler, che, in modo particolare, viene ricordato per aver introdotto nelle sue trattazioni il concetto di insight, come improvvisa scoperta di un nuovo modo di interpretare la situazione totale. Ben più recente, in quanto attuatasi tra anni Cinquanta e Settanta del Novecento fu la rivoluzione cognitivista, diretta filiazione del Comportamentismo, benchè in aperta contrapposizione con esso. Il Cognitivismo contesta al Comportamentismo il ricorso al solo comportamento osservabile: tale psicologia, infatti, incoraggia l’analisi del comportamento in base a modelli non osservabili. Tra i primi cognitivisti ricordiamo Miller, noto per la concettualizzazione della memoria come elaborazione dell’informazione; inoltre questi, insieme ad altri propose la cosiddetta unità TOTE, rappresentante il procedimento con cui si realizza l’azione. Sono gli anni anche di un’altra teoria della conoscenza: il Costruttivismo, la quale considera il sapere come qualcosa che non può essere ricevuto in modo passivo dal soggetto, ma che risulta dalla relazione tra un soggetto attivo e la realtà. In questo senso l’ambiente non è più luogo di informazioni ma luogo di esperienza e l’apprendimento passa dall’essere semplice acquisizione di contenuti ad interiorizzazione di una metodologia che rende il soggetto autonomo nei propri processi cognitivi. Nel campo della pedagogia, e sempre in ambito costruttivista, si collocano gli studi di Piaget, la cui teoria sullo sviluppo mentale del bambino domina tuttora incontrastata. Secondo lui, la differenza tra il pensiero del bambino e quallo dell’adulto è di tipo qualitativo: il bambino, dunque, non è “adulto in miniatura” ma “individuo dotato di struttura propria”. Piaget ha poi suddiviso lo sviluppo cognitivo del bambino in cinque livelli: la fase senso- motoria (0- 2 anni); la fase pre- concettuale (2- 4 anni); la fase del pensiero intuitivo (4- 7 anni); la fase delle operazioni concrete (7- 11 anni); la fase delle operazioni formali (11- 14 anni).Ausubel poi, sulla scia di Piaget, formula la sua teoria dello sviluppo della personalità; caposaldo della sua teoria è la nozione di “apprendimento significativo” (in cui l’allievo attribuisce al materiale di apprendimento un significato proprio), contrapposta a quella di “apprendimento meccanico” (in cui il contenuto è già definito nel suo significato).
Non si puo’ fare a meno,inoltre, di esaminare gli studi compiuti da Howard Gardner circa le intelligenze multiple; partendo dalla negazione del concetto unitario di intelligenza, infatti, egli giunge a delineare una serie di abilità o talenti non misurabili attraverso strumenti standardizzati e che possano combinarsi in vario modo in ogni individuo. In tal senso Gardner stima l’esistenza di otto tipi di intelligenza: quella linguistico verbale (che consiste nella capacità di usare il linguaggio in maniera appropriata), quella logico- matematica (che consiste nella capacità di comprendere le proprietà base dei numeri e i principi causa ed effetto), quella visivo- spaziale (che concerne l’abilità di percepire il mondo e lo spazio accuratamente), quella ritmico- musicale (che si esplica nella capacità di percepire, trasformare ed esprimere forme musicali), quella corporeo- cinestetica (che consiste nella capacità di usare il corpo per fini espressivi, atti ad esprimere, appunto, idee e sentimenti) e quella personali, quella interpersonale e quella intrapersonale. L’intelligenza interpersonale consiste nel percepire stati d’animo e sentimenti altrui: questo tipo di intelligenza si combina con quella intrapersonale, che concerne in un’abilità spiccata nell’agire, grazie ad una profonda coscienza di sé.C’è poi l’intelligenza naturalistica che si esprime attraverso una particolare sensibilità verso gli ambienti e gli animali sempre più a rischio degrado ed estinzione. Considera inoltre,l’ipotesi di una nona intelligenza,quella esistenziale,che concerne nella capacita’ di esplorare e trovare significati nella vita specialmente in riferimento alle domande sulla vita , sulla morte e piu’ in generale l’attitudine al ragionamento astratto. Consideriamo ora le nuove tecnologie didattiche, le TIC (tecnologie di informazione e di comunicazione) e l’insegnamento tramite E- learning. Circa le TIC sottolineamo come queste possano favorire alcune modifiche del contesto educativo, come ad esempio lo spostamento del focus sullo studente e il risalto alla cooperazione tra alunni. Tutto ciò comporta un problema per l’insegnante che deve sapersi orientare, fornendo opportunità sempre più valide per lo sviluppo della creatività infantile. I software utilizzati devono essere chiari e con icone facilmente intuibili, permettendo di giocare con linguaggi diversi ed offrendo la possibilità di essere autore e costruttore della propria conoscenza: in tal senso l’alunno non è mai completamente passivo.
Le nuove tecnologie possono essere utilizzate anche per l’avvicinamento alla lettoscrittura, un’abilità di primaria importanza, così come la videoscrittura, i cui prodotti possono essere facilmente catalogati. Bisogna inoltre considerare l’uso di internet e della rete in generale come infrastruttura di supporto, la quale richiede lo sviluppo di nuovi stili e abilità cognitive, come lo scanning, consistente nell’individuazione rapida dell’elemento significativo.In un contesto come quello attuale risulta indispensabile, quindi,tener presente l’importanza della formazione dei docenti di TIC: partendo dal presupposto che le TIC vanno insegnate come disciplina a se stante, esse richiedono, pertanto, competenze specifiche. Per quanto riguarda l’e-learning,invece, sin dalle sue prime manifestazioni: operando in un contesto di immediatezza, esso ha come caratteristica fondamentale quella di personalizzare il servizio, risultando altresì congeniale a diverse tipologie di formazione. Definita anche l’”istruzione di domani”, racchiude nel suo prefisso “e” quattro sfumature di significato: “e” come “electronic learning” (per il suo aspetto tecnologico), “e” come “enriched learning” (per il fatto che può essere sempre aggiornata), “e” come “extended learning” ( per il tipo di apprendimento estendibile in termini spazio- temporali) e infine “e” come “experience learning” (in quanto permette alle conoscenze di essere integrate per la risoluzione di attività pratiche). Nel corso degli anni ci sono state tre generzioni di e-learning; la prima, basata su manoscritti e stampati, si espande dalla fine del XIX secolo: si tratta dei cosiddetti “corsi per corrispondenza”, nei quali, tuttavia, la comunicazione tra insegnante e studenti risulta ancora assai lenta.
Negli anni Sessanta, invece, comincia a muovere i primi passi una seconda generazione: è l’inizio della cosiddetta “didattica multimediale”. Si tratta ancora di strumenti molto semplici, che prevedono un tipo di comunicazione unidirezionale. Si giunge così ad una terza generazione, quella che prevede l’uso di strumenti offerti dalla rete telematica che consentono agli utenti di lavorare insieme, permettendo loro di superare l’isolamento. Si tratta, pertanto, di un “apprendimento collaborativo”. I modelli didattici di e- learning sono: l’apprendimento individuale; l’apprendimento collaborativo e l’interazione di gruppo; le fasi, invece, consistono in: progettazione del corso, distribuzione di materiali e pianificazione. Inoltre fondamentale appare la figura del tutor che ha il compito di guidare i corsisti nel processo formativo. L’e- learning garantisce una serie di vantaggi come il risparmio dei costi, la flessibilità, la diffusione e partecipazione, la personalizzazione del corso e l’aggiornabilità dei contenuti. Recentemente l’interesse per l’e-learning sta aumentando sempre di più. L’apprendimento on line ha,infatti, da un punto di vista pedagogico, il potere di riuscire a favorire l’interazione tra i diversi attori del processo di apprendimento (studenti, tutor e docenti).
L’ins.te Fiduciaria della scuola dell’infanzia – Iac Vitulazio
Maria Rosaria Pinto