Il Corano, in arabo al Qur’anche significa ‘lettura’ o anche ‘recitazione salmodiata’, è il testo sacro dell’Islam: esso rappresenta la parola di Dio rivelata al profeta Maometto che secondo la tradizione ne recepì il contenuto per singole parti a cominciare dall’anno 610 e per i ventidue anni consecutivi fino alla sua morte. François Déroche, professore di Storia e trasmissione del testo coranico al Collège de France, uno dei massimi esperti in materia, nel suo libro “Corano, una storia plurale” (Carocci, 219 pagine, 21 Euro) ricostruisce le fasi della stesura della Rivelazione nel passaggio tra oralità e testo scritto. Il Corano rappresenta per certi aspetti anche una normazione definitiva della lingua araba, il suo stile compositivo, proprio perché direttamente rivelato da Allah per mezzo dell’arcangelo Gabriele; il libro per eccellenza è pertanto considerato pure il paradigma di riferimento linguistico per l’arabo canonico.
Come sottolinea Hamza Roberto Piccardo, traduttore della versione ufficiale del Corano in lingua italiana, secondo la tradizione islamica il primo versetto della più antica Sura (capitolo) rivelata a Maometto sul monte Hira recitava: “Leggi! In nome del tuo Signore che ha creato”. La Sura nella versione canonica del testo sacro dell’Islam venne collocata come novantaseiesima nel corso della stesura della Rivelazione, processo di composizione che interessò i primi sapienti islamici. Le centoquattordici Sure infatti non furono disposte seguendo un criterio di progressione cronologica relativa ai periodi in cui esse furono rivelate, ma vennero collocate secondo un ordine decrescente in base alla lunghezza, anche se non rigorosamente, fatta eccezione per la prima Sura chiamata Al-Fatihaovvero ‘L’Aprente’. Il processo di composizione della forma definitiva della Rivelazione durò molto tempo e seguì precisi schemi di consequenzialità di discorso e di affinità di argomenti. Il dogma musulmano considera il testo del Corano, e la sua configurazione a partire dal primo secolo dell’Islam, come una scrupolosa continuazione della parola divina rivelata custodita in un “archetipo celeste”.
Il libro di François Déroche (sottotitolo: “La formazione e la trasmissione del testo”), attraverso un’analisi dei testi della tradizione musulmana e di antichi manoscritti coranici, mostra come la genesi, il percorso costitutivo e la trasmissione iniziale del Corano siano stati caratterizzati da una pluralità di strutture e da diverse varianti che circolarono per decenni, cioè prima che il Corano delle origini fosse ricondotto a una versione unica. Da secoli ormai la recitazione del testo coranico, in particolar modo in contesti rituali, obbedisce a rigide regole che, secondo l’insegnamento dell’ortodossia, risalgono al profeta Maometto e ai suoi Compagni; e ogni deviazione da questa norma è considerata sacrilega. Uno specialista in materia coranica, Shady Hekmat Nasser, riporta come ancora negli anni Novanta del Novecento, in un quartiere sunnita di Beirut, il vecchio shaykhdi una moschea venne ritenuto affetto da demenza senile per il modo in cui recitava il testo sacro. Solo in seguito venne chiarito che l’anziano stava seguendo nella sua recitazione la ‘lettura’ di Hamza (morto nel 772), molto rara e quindi poco conosciuta rispetto a quella trasmessa a Hafs dal suo maestro Asim che attualmente sovrasta le altre a causa della sua vasta diffusione. La vicenda del testo Coranico è quindi una storia lunga e alimentata da molteplici sfumature che François Déroche ricostruisce a partire dal passaggio cruciale tra tradizione orale e testo scritto.
Massimiliano Palmesano