La terribile pagina di storia a cui fa riferimento il Giorno del Ricordo interessò particolarmente i territori dell’Istria negli anni dal 1943 al 1947 quando furono rastrellate, deportate e uccise migliaia di persone, per lo più italiani. L’inizio dell’eccidio risale al 1943, subito dopo l’armistizio, nell’Istria abbandonata dai soldati italiani e non ancora controllata dai tedeschi, quando i partigiani slavi gettarono nelle foibe centinaia di cittadini italiani considerati “nemici del popolo”.
Ma fu nel 1945, durante i quaranta giorni dell’occupazione jugoslava, che la carneficina delle foibe raggiunse l’apice dell’orrore. Lo sterminio fu condotto senza distinzioni politiche, razziali ed economiche, seguendo le direttive del Maresciallo Tito che ordinava di eliminare i fautori del nazionalismo. Furono arrestati fascisti, anti-fascisti e partigiani, cattolici ed ebrei, uomini, donne, vecchi e bambini, industriali, agricoltori, pescatori, poliziotti e carabinieri, militari e civili, secondo un disegno che prevedeva l’epurazione attraverso torture, fucilazioni e infoibamenti.
La persecuzione, soprattutto in quella “terra di nessuno” vicina al confine sottoposta all’amministrazione jugoslava, la violenza e l’efferatezza delle esecuzioni, precedute spesso da processi sommari, torture e linciaggi, determinarono l’esodo che nel dopoguerra allontanò quasi tutta la popolazione italiana dall’Istria.
È giusto e doveroso dunque ricordare foibe ed esodo, le nostre vittime, il dolore dei nostri connazionali costretti a lasciare le terre concesse all’Italia dopo la prima guerra mondiale, il dolore delle famiglie degli infoibati nel settembre 1943 in Istria e nel maggio 1945 a Trieste, Gorizia e Fiume subito dopo l’ingresso delle truppe di Tito, ma è altrettanto giusto e storicamente corretto ricordare anche il contesto storico nel quale avvennero, le colpe del fascismo che portarono alla sconfitta ed alla perdita di quelle regioni.
Il perché di tutte queste stragi è molto complesso e parte da molto lontano. La conclusione della I guerra mondiale mutò radicalmente gli equilibri politici internazionali e ridisegnò i confini geografici di numerose nazioni. Il fascismo al potere in Italia significò per tutte le minoranze nazionali presenti nel paese, l’inizio di una violenta campagna di discriminazione, di negazione di diritti fondamentali e di italianizzazione forzata.
Nel 1920 Mussolini dichiarava la necessità di estendere il territorio italiano “… sacrificando 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani”: il fascismo di frontiera era utile per sedare le agitazioni sindacali e risolvere il “problema slavo”. La campagna di italianizzazione vera e propria iniziata nel 1922 impose il divieto di parlare in sloveno, la chiusura delle scuole “non italiane”, il cambio dei cognomi e della toponomastica; furono inoltre devastate le sedi operaie, chiusi i circoli culturali e le associazione sportive slovene.
L’azione del governo fascista annullò l’autonomia culturale e linguistica delle popolazioni slave ed esasperò i sentimenti di inimicizia nei confronti dell’Italia. All’epoca le foibe venivano già utilizzate dagli squadristi per far sparire le teste calde. Tra le due guerre mondiali, inoltre, gli esuli sloveni e croati dalla Venezia Giulia furono oltre 100.000.
Poi ci fu la brutale occupazione del 1941: l’Italia fascista era al seguito dei nazisti che invasero tutta la Jugoslavia. Seguirono stupri, massacri, bombardamenti e deportazioni di massa specialmente a danno di serbi e altre minoranze; violenze di cui l’esercito fascista fu parte attiva con la creazione di campi di concentramento come la Risiera di S. Sabba, a Trieste o il campo di Gonars a Udine.
Nel contesto storico vanno messi, dunque, anche i dolori che noi abbiamo arrecato agli altri e affinché le celebrazioni dei fatti, gloriosi o tragici, del nostro passato non abbiano solo una funzione retorica destinata prima o poi a cadere nel vuoto, ricordare deve servire a uno scopo preciso: a rafforzare in tutti i cittadini – e soprattutto nelle giovani generazioni – non solo la memoria degli avvenimenti drammatici, ma anche la consapevolezza profonda delle cause storiche che ad essa condussero e la coscienza che alta e costante dev’essere in tutti gli uomini liberi la consapevolezza che solo una vigilanza continua, ispirata agli irrinunciabili principi della giustizia e della libertà, può impedire che aberrazioni ed orrori come quelli del passato possano tornare – magari in nuove vesti e sotto nuove forme – a minacciare il nostro futuro.
Vincenzo De Tommaso