La ricerca demo-etno-antropologica in Italia èricca e vivace nonostante talvolta possa apparire frammentaria e divisa. La pluralità di indirizzi e ambiti di indagine, piuttosto che rappresentare un limite, va colta come una ricchezza; è questo l’intento della “Rivista di antropologia contemporanea” n. 1/2020(il Mulino, 226 pagine, 30 Euro) che si propone di unire scuole e indirizzi di studio diversi, con lo scopo di tracciare elementi di unitàe compattezza nel dibattito scientifico. La rivista è caratterizzata da numeri di impianto monografico (in questo caso divisa in due parti: “La svolta ontologica” e “Pandemia e contagio”) in cui si approfondiscono i nodi teorici dell’attuale antropologia internazionale, con particolare attenzione all’antropologia quale strumento di lettura delle societàcontemporanee e dei loro impetuosi mutamenti. La rivista, inoltre, si pone come un ponte capace di far dialogare tra di loro discipline differenti quali la storia, la sociologia, la politologia.
Il primo numero concentra le sue riflessioni sulla cosiddetta “svolta ontologica” (in inglese “ontological turn”) in antropologia e sul paradigma “pandemia e contagio” che sta modificando sensibilmente la vita e le consuetudini in tutto il mondo. Da oltre un ventennio ormai, in campo antropologico, alcuni autori e ricercatori propongono un approccio che definiscono “ontologico”: la missione dell’antropologia contemporanea non è più quella di decifrare i fenomeni umani facendo ricorso alle categorie interpretative occidentali quali società, economia e potere, ma quella di penetrare nel profondo i mondi che vengono analizzati. Una prospettiva che non si pone più come un’interpretazione “dall’esterno” dei fenomeni studiati, bensì come un meccanismo concreto di trasformazione di chi indaga ad opera di chi viene indagato. Alla luce di tale approccio anche la categoria di “cultura”, così come comunemente intesa, non è più adatta a descrivere determinati processi; sarebbe più adatto, infatti, pensare a mondi plurimi e ontologie multiple: solo se le culture indigene vengono considerate come mondi con leggi e realtà proprie è possibile capirle nel profondo.
Proprio rispetto alla “ontological turn”,la rivista de “il Mulino” propone quattro contributi che affrontano da prospettive diverse questo nuovo approccio alla ricerca antropologica. Apre la monografia Antonino Colajanni con un saggio sul “prospettivismo” e le “ontologie” indigene amerindiane; seguono Alessandro Mancuso, con un contributo su svolta ontologica e questioni epistemologiche, Federico Scarpelli, che approfondisce il tema dell’antropologia culturale e delle “due ontologie, e Carlo Severi che chiude la prima parte della rivista con una “proposta per un’antropologia del pensiero”.
La pandemia e il contagio sono i temi che invece vengono sviluppati nella seconda che è composta da cinque saggi. Si parte con Giuseppe Scandurra, che analizza il rapporto tra antropologi e Covid-19; seguono René Capovin, che approfondisce il ruolo di scienza e intellettuali nel quadro pandemico, Julio Cesar Adiala, con un focus sulle conseguenze del virus in Brasile, Antonino Blando, su pandemia e terrore; in conclusione Piero Vereni su Covid-19 e sistema educativo.
Due sezioni che hanno il merito di dischiudere mondi e approcci diversificati proprio perché la rivista non è concepita come lo strumento di una scuola, di un dipartimento o di un indirizzo tematico specifico, ma piuttosto vuole porsi quale spazio attraversabile da diverse realtà della ricerca e dell’insegnamento antropologico nazionale. La globalizzazione oramai imperante sta cambiando e ridefinendo i concetti di economia e di politica; tali cambiamenti impongono una “rivoluzione antropologica” che sappia utilizzare gli strumenti messi a disposizionedalla diffusione dei nuovi media, che sappia offrire nuovi spunti al ripensamento di concetti quali Stato, popolo e sovranità. Sono questi i temi che la “Rivista di antropologia contemporanea”– direzione Fabio Dei (Università di Pisa), coordinamento redazionale Fabiana Dimpflmeier (Università di Pisa e Università della Tuscia) – intende affrontare, con un taglio che tiene sempre ben fermi i due pilastri dell’approccio antropologico: l’irriducibilitàdel concetto di cultura e la centralitàdella ricerca etnografica.
Massimiliano Palmesano