CAPUA – Nell’ambito di una vasta inchiesta sui rifiuti, la Direzione investigativa antimafia ha portato alla luce un giro di affari da oltre due milioni di euro sugli abiti usati. L’inchiesta, avviata dalla Procura della Repubblica di Roma, si è concentrato sul ‘movimento’ intorno ai 1.800 cassonetti gialli dell’Ama installati su tutto il territorio della Capitale. Gli inquirenti stanno analizzando la posizione di alcune società che ipotizzano siano legate ai clan e che hanno sede a Capua e San Sebastiano al Vesuvio.
Secondo le indagini, il 15% circa degli abiti usati raccolti finisce nei negozi di vintage, il 45% all’estero, soprattutto in Africa, il 25% viene impiegato come pezzame e il resto diventa scarto o viene dato in beneficenza. Le cooperative che raccolgono gli abiti dai cassonetti li vendono a ditte di stoccaggio. Stracci ceduti per pochi centesimi, in base alla loro qualità, e che vengono poi ceduti ad aziende impegnate nella selezione, la maggior parte presenti in Campania. Queste ultime si devono occupare anche della sanitizzazione degli abiti, essendo necessario disinfettarli prima di farli tornare sul mercato.
L’inchiesta, però, ha scoperto che tale passaggio veniva omesso, per abbattere i costi, e i vestiti finivano nei negozi senza alcuna precauzione igienica. Di cessione in cessione il prezzo degli stracci aumenta e diventa un grande affare. Un business che interessa anche la camorra, la quale mirerebbe a ottenere il monopolio negli acquisti e nelle vendite, imponendo i propri prezzi. E visto che intimidazioni, oltre che da cooperative romane e ditte pontine, sarebbero state subite pure da società di Napoli, l’indagine romana punta anche al Sud, nello specifico a Capua e a San Sebastiano al Vesuvio.
Red. Cro.