Massimo Cacciari è sicuramente uno dei pensatori più prolifici all’interno del panorama intellettuale italiano nel periodo a cavallo tra questi due millenni. Il suo percorso di elaborazione negli ultimi anni ha assunto forme nuove evolvendosi – rispetto al pensiero espresso attraverso le sue prime opere – grazie all’intreccio con la teologia, quasi risalendo a una tradizione interpretativa di stampo platonico. Il filosofo veneziano nel suo nuovo saggio “Il lavoro dello spirito” (Adelphi, 120 pagine, 13 Euro) propone al lettore una serie di riflessioni su una realtà contemporanea dalle apparenti illimitate potenzialità. Un mondo che non è più rappresentabile con l’idea classica di kosmosperfettamente armonizzato in sé,né con quella cristiana di saeculumil cui fine è la fede; il mondo oggi è ciò che la scienza pone in essere, la meta che di volta in volta il suo operare raggiunge e supera. Il sistema scientifico esige quindi uno stato di rivoluzione permanente, una coscienza maturata tra illuminismo e idealismo agli albori del XIV secolo che presuppone il continuo superamento di ogni nuovo stadio raggiunto.
Tra il 1917 e il 1919 Max Weber tenne due conferenze dal titolo Die geistige Arbeit als Beruf, che tradotto significa “Il lavoro dello spirito come professione”, all’interno delle quali formulava in modo pregnante l’idea regolativa, il progetto e la speranza che avevano animato la grande cultura borghese da Kant e Goethe, dal Romanticismo a Schiller, da Fichte a Hegel, considerazioni che avevano costituito il filo conduttore dello stesso pensiero rivoluzionario successivo, da Feuerbach a Marx. Il “lavoro dello spirito” è quello creativo, autonomo, il lavoro umano considerato in tutta la sua potenza creatrice, e volgersi alla sua affermazione significa liberare ogni attività dalla condizione di fatica comandata, dipendente, e cioè alienata. Il suo dissolversi nella forma capitalistica di produzione, nell’universale potere della macchina e del macchinismo – che fagocita quella scienza che pure è l’autentico motore dello sviluppo – finisce col delegittimare la stessa autorità politica che nella promessa di liberazione trova il proprio più intimo fondamento.
La “gabbia di acciaio” sembra destinata a imprigionare anche il “lavoro dello spirito” che è la prassi politica: il golem del capitalismo finirà con il destrutturare completamente lo spazio del politico riducendolo alla forma del contratto, oppure tra scienza e politica sono ancora pensabili positive relazioni? Un quesito che seppur posto un secolo fa da Max Weber con estrema chiarezza, è rimasto per lunghissimo tempo senza risposta. A partire dal confronto con quel quesito, Massimo Cacciari delinea nel suo libro nuove traiettorie possibili per il lavoro dello spirito dei nostri giorni.
Massimiliano Palmesano