L’oppio nella cultura dell’antica Roma in un libro di Lorenzo Fabbri

L’oppio nella cultura dell’antica Roma in un libro di Lorenzo Fabbri

Nella cultura e nella religione dei popoli dell’antico Mediterraneo il papavero rappresentava una pianta molto importante, utilizzata a scopo sia medico sia religioso. Nonostante si è portati spesso a supporre un’origine orientale della pianta, recenti scoperte archeologiche collocano in Italia il luogo di nascita del papavero. Tali evidenze spiegano in modo inequivocabile la dimestichezza che nelle campagne del sud si è avuta con questa pianta fino a pochi decenni orsono, retaggio della farmacopea arcaica e del sostrato culturale e religioso che risale almeno all’epoca classica.
Nell’antica Roma il papavero da oppio era estremamente conosciuto e diffuso, d’uso comune in campo culinario, ornamento di stupendi giardini e rimedio per la cura di diverse malattie. Lorenzo Fabbri nel suo libro “Il papavero da oppio nella cultura e nella religione romana” (Leo S. Olschki Editore, XII-400 pagine, 34 Euro) analizza gli aspetti pratici del suo utilizzo in quel contesto, ma soprattutto la sua valenza simbolica tanto nella letteratura quanto nell’arte e nella sfera del sacro. Il saggio, frutto della rielaborazione dei materiali di ricerca che Lorenzo Fabbri aveva prodotto negli anni del dottorato in Antichistica presso l’Università degli Studi di Milano, si apre con una introduzione botanico-morfologica della pianta a cui seguono due sezioni: una dedicata al papavero nella cultura e nella letteratura romana, l’altra alla sua presenza nell’iconografia e nell’arte dell’antica Roma. Autori classici importantissimi come Virgilio e Ovidio hanno testimoniato il simbolismo multiforme della pianta usandola come metafora poetica; altri ne fanno un elemento centrale di celebri episodi della tradizione annalistica.
Ma il fulcro della monografia è rappresentato dalla simbologia espressa all’interno della sfera del sacro e dalla connessione tra il papaver somniferume numerose divinità, in particolare quelle legate al ciclo mitico eleusino nella loro trasposizione italica, ovvero Cerere Dea-madre dell’agricoltura e sua figlia Proserpina, sposa di Plutone il signore degli inferi. Il rapporto tra le figure del mito eleusino e il papavero – che probabilmente era uno degli ingredienti del Ciceone, la bevanda sacra dei mister – è particolarmente evidente soprattutto in campo iconografico, come attestano i numerosi reperti presi in esame nel libro. Tracce di questo antico rapporto sono rinvenibili in opere monumentali quali l’Ara Pacis o nella grande statuaria pubblica, nell’arte funeraria, nella glittica e nella numismatica.
Il mondo romano vantava una conoscenza profonda della pianta e probabilmente anche dei suoi potenti effetti narcotici ed onirici. Sebbene non sia giunta fino a noi nessuna fonte che fa cenno all’utilizzo della pianta per scopo ludico, nel saggio si fa menzione a una interessante ipotesi di dipendenza da oppio nell’antica Roma che vede coinvolto addirittura l’imperatore Marco Aurelio (121-180 dopo Cristo). Chiaramente l’assuefazione non poteva essersi sviluppata esclusivamente in seguito ad un abuso a fini voluttuari, ma poteva derivare anche dall’assunzione di dosi quotidiane per fini medici. È noto, infatti, che l’imperatore ricorresse quotidianamente a un particolare composto medico, conosciuto con il nome di theriaka, tra i cui ingredienti vi era il lattice di papavero. A testimoniarlo è il medico personale dell’imperatore, il famoso Galeno, che tramanda l’abitudine del principe di assumere una “fava egizia”, locuzione che indicava una dose specifica del farmaco per curare le patologie di cui soffriva. Al di la delle ipotesi su questo caso specifico, il libro di Lorenzo Fabbri dimostra in modo inequivocabile come la diffusione e l’utilizzo del papavero siano stati elementi ampiamente presenti nell’orizzonte culturale e sacro degli antichi romani.

Massimiliano Palmesano

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