C’era una volta quello che veniva chiamato il popolo della sinistra, quel variegato ed enorme universo che era formato da operai e contadini, sindacati e sezioni di partito, assemblee e congressi; un popolo che sembra ormai svanito, divorato dal gorgo di un’epoca che il professor Mario Tronti non esita a descrivere, senza mezzi termini, come un tempo distopico di macchine intelligenti che comandano uomini stupidi.
Mario Tronti, filosofo, padre dell’operaismo e dell’autonomia del politico, nel libro “Il popolo perduto – Per una critica della sinistra” (Edizioni Nutrimenti, 144 pagine, 14 Euro) analizza, all’interno di un lunga intervista insieme al giornalista Andrea Bianchi, quelle che a suo avviso sono le ragioni del dissolvimento della grande tradizione sociale e culturale del comunismo non solo italiano, della deriva e dei fallimenti della cosiddetta sinistra, categoria che ormai appare obsoleta in un mondo radicalmente diverso rispetto a quello del Novecento.
Mario Tronti mette sul banco degli imputati quella sinistra colpevole, negli ultimi decenni, di essersi concentrata solo sul tema dei diritti e di aver abbandonato del tutto quello dei bisogni; questioni quali il lavoro, il reddito, la casa, lo stato sociale, sono stati quasi del tutto eliminati dalle agende politiche della sinistra, con il disastroso risultato di quella che ormai sembra una tendenza inesorabile al dissolvimento di un intero popolo e del suo sistema di valori. Una sinistra che, secondo il professor Tronti, ha una visione distorta della realtà in cui agisce, fattore che si evince anche semanticamente nella sproporzione palese che esiste, nei documenti e nei discorsi dei politici di riferimento, tra le categorie di “cittadino” e quella di “lavoratore”, dove quest’ultima, un tempo centrale nell’elaborazione della sinistra, sembra essere oggi quasi del tutto svanita.
Una sproporzione che viene a galla anche rispetto ai temi che hanno animato le piazze delle sinistre negli ultimi anni: sempre più impegnate in campagne legate al campo dei diritti civili e sempre meno attente allo sfruttamento, alle morti sul lavoro e alle condizioni delle classi subalterne in generale. Il processo di dissolvimento della sinistra sembra oggi essere una certezza: milioni di voti dispersi, decine di esperienze concluse e il rischio dell’estinzione di un intero popolo. Questa tendenza può essere arginata solo a partire dalla lotta contro quello che viene definito il virus dell’antipolitica iniettato ad arte, dall’alto, nelle vene dove scorre il basso del sociale. Secondo Tronti, la sinistra per sopravvivere deve essere capace di mandare in soffitta il pensiero debole incarnato dalle fallimentari esperienze democratico-progressiste, ribaltare la gerarchia tra civile e sociale, ma soprattutto riacquisire la consapevolezza che lo sfruttamento sul lavoro resta tema centrale e oggi più che mai attuale.
Massimiliano Palmesano