Morte del preside Del Vecchio, “La meglio gioventù”con Ignazio e l’Okrik 10 mup

Morte del preside Del Vecchio, “La meglio gioventù”con Ignazio e l’Okrik 10 mup

PIGNATARO M. – I sogni, le aspirazioni e le speranzedei giovani viaggiano sulle alidella musica, nel soffio vitale del vento,nell’emozione di un mondolibero e disincantato.Fascino delle foto ingiallite a riportarcila freschezza, i sapori e i coloridiallora.Grazie a tutti i miei amici vicini,lontani e perduti … per aver sognato, insieme immaginato…grazie, grazie davvero!

Qualche anno fa, in occasione di un evento molto triste, la malattia di un caro amico, mi capita di scrivere quattro righededicate a un gruppo di amici che negli anni ‘70sognava di cambiare un vecchio mondoe rincorrevadesideridi libertà. L’Okrik 10 MUP- così ci chiamavamo. Quel piccolo elaboratoqualcuno lo chiamò poesia.Era proprio Ignazio. Io l’ho sempre ringraziato per questo audace giudizio,ma io non sono un poeta, gli dissi, non mi sento un poeta, piuttosto i miei li considero pensieri al vento. Poi, mi piaceva anche l’idea di delinearei contorni di quella bellissima e ribelle esperienza giovanile che ci aveva formati e che aveva fatto vivere le esperienze più belle della vita ad una generazione intera.Inizia un lungo percorso di raccolta di vecchie foto di quegli anni. L’idea piace molto agli amici, quelli più vicini, rimasti qui a Pignataro; si prodigano subito e mi fanno avere le foto disponibili. Bisognava contattare anche quelli per cosi dire“dispersi” per il mondo; la cosa non fu facile, perché qualcuno ci aveva prematuramente lasciato e aveva portato per sempre con sé i suoi sogni e le sue aspirazioni. Si sa, la memoria di un’esperienza non è sempre avvertita come elemento importante di un vissuto in una certa fase storica e pertanto viene relegata nel fondo di un cassetto. I ricordi diventano i cocci inservibili di un’esistenza. Fortunatamente, ad assicurare la continuità ci pensanoi nostri cari che, orgogliosi di ricordare, non esitano a recuperare il materiale fotografico. Preparo subito un breve “movie maker”.Mi mancava la colonna sonora della nostra vita: senza esitazione mi viene subito alla mente il mitico organo Hammond di“A WhiterShade of Pale” dei ProcolHarum, dal testo onirico e surreale sul quale spesso avevamo speso fiumi di parole e sulla quale melodia struggente si addiceva lanostranatura. Si sta parlando di un gruppo di ragazzi degli anni ‘70 che, riunito in un associazionismo spontaneo, in spregio a tutte le gerarchie diffuse in una sonnolenta comunità di quegli anni, condivide passioni, amicizie e voglia di vivere. Una sorta di collettività in cui tutto veniva condiviso con generosità e ripartito a secondo delle disponibilità. Per la prima volta nella storia del paese compariva sulla scena anche l’universo femminile. Le ragazze rompevano un tabù secolare; affiancavano senza pregiudizi i loro coetanei, non più spettatrici ma protagoniste della loro storia. Un universo giovanilein grande fermento, piuttosto ribelle e combattivo, che assorbiva tutto dal mondo circostante, che non si lasciava intimorire, che sfidava energicamente l’immobilismo locale. In quel tempo, come cantava De André,“sbocciavano le viole” e si organizzavano anchei primi camping autonomi, non gestiti da capi Scout, in località allora impensabili. Si divoravano i primi concerti rock: storicoil rocambolesco viaggio di andata e ritornodel 26 giugno del 1972 per assistere all’esibizione del principe del Moog. Sto parlando degli storici “Emerson, Lake & Palmer” alPalaeur di Roma. Che dire, poi, dei viaggi on the road, in autostop “senza un soldo in tasca”, equipaggiati di solo sacco a pelo, tenda e chitarra, perconoscere nuovi posti e poi fondersi con altre esperienze. Le notti d’estate trascorrevano sui gradini della chiesa madre aspettando l’albaa raccontarsi sogni e inquietudini o a intonare dolci serenate per amori appena nati. OKRIK era la parola“Circo”scritta al contrario, cambiando la C in Kappa. La scelta della parola fu fatta inconsciamente guardando un manifesto di un piccolo circo che periodicamente animava il piccolo paesino di provincia. La scelta, a mio avviso, non fu casuale: in fondo il circo rappresentava quella idea di sogno, di vita libera e comunitaria che si respirava in quegli anni. C’era un indiscutibile fascino nell’idea di circo che colpiva l’immaginario: è innanzi tutto un’idea di libertà e di arte spontanea. È la forza della cooperazione. La “K” diventa il segno di quella contestazionelibertaria presa in prestitodalla cultura hippiedegli anni ‘60 che i giovani americani usavano quando scrivevano “Amerika”.Il numero10 erail numero dei componenti, ma doveva necessariamente essere molto variabile in quanto era un gruppo che attraeva molti giovani. “MUP” lo lascio ancora in quell’alone di mistero mai svelato, che lo faceva oscillare tra una sigla politicamente impegnata, e un’etichetta goliardica di bontemponi dediti ai festini. La sede in via Regina Elena costituiva il ritrovo “hippie”,arredato con pneumatici di auto che fungevano da sedili, su un tavolo un’agenda su cuiciascuno disegnava o scriveva qualcosa, dava sfogo alla libera fantasia. La stanza era tappezzata di giornali e di poster di star del pop;spiccava inquietante quello di Alice Cooper che maneggiava un boa. Le artigianali luci, cosiddette psichedeliche,sparseintorno alla stanzetta illuminavano le prime “feste di ballo”. Cosa rimane oggi di quell’esperienza, ci siamo sempre chiesti con rimpianto? Dove sono finiti i nostri sogni?Sono precipitatiin fondo ad un cassetto, ogni tantoriemergonoper un attimo solo quando ci si imbatte in qualche foto ingiallita, oppure essi continuano a camminare nel racconto dei padri con i figli e tra gli amici stessi nei momenti di incontrosempre più rari.Io credo che ci sia un varco che ci lega ancora. Quelle esperienze viaggiano con noi con una forza inaspettata e riaffiorano in piccole importanti azioni quotidiane. Poiti accorgichela ricerca della libertà ed il sogno da rincorrere dei ragazzi di oggi sono gli stessi di ieri. Gli occhi si accendono al desiderio di andare a vivere in una grande città come Milano (“è proprio la città che mi piace e in cui mi piacerebbe vivere e dove le opportunità si presentano in abbondanza”) e si coniugano alla libertà di vita. Libertà non è anche privilegiare luoghi dove si pratica una vita a contatto con la natura o luoghi dove si lotta per una giustizia sociale. Il varco si allarga quando si offre un aiuto disinteressato o una disponibilità vera,e allora capisci che qualcosa funziona ancora in nome di una vecchia amicizia.Si sa quanto sia falsa l’idea che la storia si ripeta. Ho saputo che i ragazzi hanno creato un gruppo whatsapp lo hanno chiamato OKRIK 10 MUP con l’intento di rinsaldare i rapporti tra i figli di quei ragazzi degli anni ’70 e mi dicono avrà anche lo scopo di organizzare qualche incontro. Non pensate possa essere l’inizio di una nuovo corso. Ragazzi, la storia non si ferma! Continua.Ignazio era tutto questo, non voleva che le cose si fermassero, con noi condivideva l’amicizia, l’amore per il prossimo, e lo faceva con un animo buono e generoso, senza mai sottrarsia dare una mano a tutti. In occasione della morte di un altro amico dell’Okrik 10 Mup che pure ci lasciò prematuramente,Giorgio Feola, Ignazio ebbe a scrivere,con il suo modo colto e raffinato, a nome di tutti noi (Giorgio Balasco,Nicola Balasco,Giovanni Borrelli,Giorgio De Lucia, Pietro Iodice, Giovanni Marcello, Antonio Merlino, Pasquale “Giorgio” Magliocca, Giorgio Penna, Franco  Quaranta e Salvatore Simeone): “Per il momento hai vinto tulasciandoci, con i tuoi splendidi cinquantuno anni suonati, a venirti dietro al tuo funerale e a piangere il fratello e l’amico dei tempi più belli della nostra gioventù”.Mi risuonano prepotentemente queste parole: “piangere il fratello dei tempi più belli della nostra gioventù”.Io, a nome di tutti, ti dico che adesso noi piangiamo te. L’amicizia e l’amore fraterno di quegli anni rimarranno scolpiti nei nostri cuori, sempre! Ciao Ignazio.

Giovanni Borrelli

Commenta con Facebook