VITULAZIO – Antichi rituali africani, tamburi tribali, casse dritte e downtempos, strumenti tradizionali e drum machines, delay e canti magici del Sahara, sono questi gli ingredienti che creano l’esplosiva miscela sonora di Nuri. Amine Ennouri, in arte Nuri, è nato nel 1987 a Tunisi, dove ha iniziato la sua carriera musicale come batterista e compositore, fondando e influenzando la scena alternativa tunisina; oggi vive in Danimarca dove continua il suo lavoro di sperimentazione sonora fondendo ritmi e voci del continente africano con l’elettronica e la bass music.
Lo abbiamo incontrato, in occasione della sua unica data campana del tour italiano, al Manhattan di Vitulazio. Nuri in questa intervista racconta la sua storia, le sue influenze, i suoi progetti e parla del suo nuovo disco.
Come è avvenuto l’incontro con la musica?
“A 14 anni ho iniziato a suonare la batteria in una band roots reggae, anche se nello stesso periodo ero affascinato pure da altri generi musicali, come ad esempio il grunge dei Nirvana, che all’epoca andava per la maggiore. Proprio innestando dei ritmi africani tradizionali sulla musica che suonavo mi si aprì la mente alle sperimentazioni che poi sono confluite in Nuri, sperimentazioni che appunto per questa mescolanza e queste radici hanno sempre avuto anche un lato ‘politico’, di emancipazione e di libertà”.
Ecco, hai appena anticipato quella che sarebbe dovuta essere l’ultima domanda, quindi te la propongo adesso. Cosa pensi della situazione politica e sociale oggi in Tunisia e anche in Europa, dove ormai vivi da qualche anno?
“In Tunisia sono cambiate tantissime cose grazie alla rivoluzione, ora le persone hanno nuove prospettive e nuovi sogni, tanti giovani come me hanno più possibilità di venire in Europa per lavorare. E anche sul piano culturale, dopo la rivoluzione, si è verificata una vera e propria fioritura di esperienze, nuove bands, nuovi sound system, locali dove poter suonare e ascoltare musica. Per quanto riguarda l’Europa, credo che sia più complicato rispondere, certo ho sentito tanto parlare di intolleranza e di razzismo, ma sono problemi che almeno io ho riscontrato poco tra la gente, direi che si tratta più di “razzismo strutturale”, spinto dalle politiche di governi e politici populisti che agitano lo spettro dell’invasione e invocano la costruzione di muri per proteggere le frontiere e per rendere sempre più difficile per un immigrato stabilirsi nei Paesi europei, a cominciare dall’iter per i documenti di visto”.
Il tuo disco è un mix di “prima e ora”, quali generi musicali ti hanno maggiormente influenzato?
“Credo che le influenze siano tante, come ti dicevo prima, a cominciare dal reggae e dalla musica grunge. La tecnica compositiva che utilizzo può essere definita sicuramente di ‘dubbing’, però al suo interno puoi trovare voci e percussioni non solo africane, sahariane, ma anche provenienti da altri continenti come l’Asia, non ho una regola fissa. Una delle influenze principali è un genere musicale chiamato Stambeli, che è una musica tradizionale sufi spirituale collegata alla trance estatica e al potere curativo dei tamburi; lo Stambeli era vietato ai tempi di Bourghiba e veniva suonato clandestinamente, ma dopo la morte di Bourghiba è diventato un simbolo di libertà e di emancipazione”.
Non amo le etichette, ma come definiresti la tua musica?
(Senza esitare ndr) “Sicuramente Afro Bass. Nonostante io non abbia un genere di riferimento, è il mood in cui mi trovo a regolare le sonorità che ascolto e che produco”.
Quale artista ti ha influenzato maggiormente o ascolti con più piacere?
“Uno degli artisti che mi ha influenzato maggiormente è un italiano, Cristiano Crisci, in arte Clap Clap. Adoro il suo stile e ho avuto la fortuna di aprire un suo concerto durante una delle mie prime esibizioni live”.
Dopo Drup sei al lavoro su altro materiale per il nuovo disco?
“Certo, sono a buon punto e credo che uscirà a marzo 2020, il titolo sarà ‘Irun’, che è il contrario di Nuri. Non c’è un ‘concept’ preciso dietro al titolo, l’ho scelto velocemente, di istinto, un po’ come la vita contemporanea, sempre molto veloce, ed è un concetto che applico anche al processo creativo”.
Fin qui le nostre domande e le sue risposte. E dopo pochi minuti comincia il suo potentissimo concerto: sotto un tappeto continuo di tamburi, sia elettronici sia suonati live, voci africane e strumenti tradizionali intessono una trama spirituale e mistica, un tributo al patrimonio africano-tunisino e al ponte con altre tradizioni e stili, il tutto combinato con il lavoro digitale per costituire un’amalgama di tradizione e suoni moderni. Un live set energetico ed emozionale allo stesso tempo, con Nuri in abiti tradizionali e maschera rituale, quasi uno sciamano cyber mentre officiava un moderno rituale elettronico. Di Nuri si sentirà sicuramente parlare ancora.
Massimiliano Palmesano