Lo studio del pensiero di Paolo di Tarso rappresenta sempre uno sforzo particolarmente impegnativo, nel quale ci si confronta con una massa enorme di pubblicazioni; e non è facile trovare una nuova chiave interpretativa per tenere desta l’attenzione del lettore. Questo libro che segnaliamo riesce a vincere la sfida: si tratta di un denso saggio di Daniel Marguerat, “Paolo negli Atti e Paolo nelle Lettere”, pubblicato dalla casa editrice Claudiana, 333 pagine, 32 Euro. Combinando narratologia e metodo storico-critico, in queste pagine Daniel Marguerat offre nuove chiavi di lettura e ripensa consolidate ipotesi interpretative sull’apostolo Paolo. Ma innanzitutto affronta la questione della triplice, parallela ricezione dei suoi scritti, della sua biografia e della sua figura di primo teologo della chiesa lasciandosi alle spalle i paradigmi contrapposti della continuità e della rottura. Sottolinea l’autore che “ogni fenomeno di ricezione implica coerenza e cambiamento, continuità e rottura nei confronti dell’origine. Quand’è che la ricezione di Paolo abbandona la coerenza per rompere con il suo modello al punto di tradirlo? L’esegeta non può sottrarsi alla domanda, ma può rispondervi a due condizioni: verificare la propria conoscenza di chi fu realmente Paolo e riconoscere la necessità e la legittimità del fenomeno della ricezione». Daniel Marguerat, esegeta e biblista, dal 1984 al 2008 è stato docente di Nuovo Testamento presso l’Università di Losanna. Tra le sue più recenti pubblicazioni segnaliamo: “Gli atti degli Apostoli. 1. (1-12)”, EDB; “Gli atti degli Apostoli. 2. (13-28)”, EDB; “Il primo cristianesimo”, Claudiana; e “L’uomo che veniva da Nazareth”, Claudiana.
Particolarmente intensa in “Paolo negli Atti e Paolo nelle Lettere” ci sembra la rilettura del rapporto tra il pensiero del primo teologo della chiesa e la Legge. Cosa che del resto non può non essere il nodo centrale della riflessione su Paolo di Tarso: non è la Legge che salva, ma la fede. Come si sottolinea nella paolina Lettera ai Romani, capitolo 4: “Infatti non in virtù della Legge fu data ad Abramo, o alla sua discendenza, la promessa di diventare erede del mondo, ma in virtù della giustizia che viene dalla fede. Se dunque diventassero eredi coloro che provengono dalla Legge, sarebbe resa vana la fede e inefficace la promessa. La Legge infatti provoca l’ira; al contrario, dove non c’è Legge, non c’è nemmeno trasgressione. Eredi dunque si diventa in virtù della fede, perché sia secondo la grazia, e in tal modo la promessa sia sicura per tutta la discendenza: non soltanto per quella che deriva dalla Legge, ma anche per quella che deriva dalla fede di Abramo (…)”.
Red. Cro.