Per la rubrica “poetando”, l’ottava lezione del professore Rotoli. L’Orecchio della poesia: le figure di suono

Per la rubrica “poetando”, l’ottava lezione del professore Rotoli. L’Orecchio della poesia: le figure di suono

I poeti utilizzano molte figure di suono per intensificare la capacità espressiva di un testo, di comunicare molto più di quanto le parole significano denotativamente. Nel testo poetico, e non solo, le figure di suono possono essere di IMITAZIONE o di RIPETIZIONE.

 

In particolare le figure di IMITAZIONI sono le ONOMATOPEIE.

 

Le parole onomatopeiche sono quelle che imitano la realtà sonora di cui parlano. Ad esempio sono onomatopee tutti i verbi che riprendono i versi degli animali, come ‘belare, squittire, nitrire’ oppure le parole che rinviamo ad immagini uditive, come quelle, ad esempio, relative al vento: fruscìo, mormorìo, scricchiolìo, stridere:

 

‘Frusciava il vento sulla vasta pianura

Facendo scricchiolare gli sterpi degli arbusti’.

 

In questi due versi vi sono anche due parole, sterpi e arbusti, che sono considerate onomatopeiche perché, pur imitando parole non sonore, sembrano visualizzarle. Qui i due termini connotano fruscio ruvido, che nell’essere attraversati dal vento emettono aspri suoni e generano sensazioni di disagio.

E’ anche il caso di certi verbi di moto come saltellare, guizzare, serpeggiare, o di termini che rinviano al buio, come cupezza, tetro, oppure vocaboli che denotano leggerezza, come lieve, esile.

 

In verità l’italiano non è molto ricco di vocaboli onomatopeici, come lo sono i dialetti e in particolare il napoletano. Verbi come sguarrare, scquacquariare, speteriare, spaparanzare danno subito l’idea di cosa si sta parlando con un surplus significativo, derivato dal suono imitativo.

‘N’ spaparanzà a porta’ Non aprire la porta. Ma in napoletano la porta è aperta con forza, con rumore e con impeto.

 

Famoso è il verso dantesco

‘E di cul fece trombetta’,

 

oppure

Pape Satan, Pape Satan, Aleppo ( Inferno, Canto VII).

 

La lingua più onomatopeica risulta essere l’inglese; gran parte dei suoi verbi sono, infatti, onomatopeici, tant’è che i fumetti, Topolino utilizza una infinità di verbi onomatopeici e le sue nuvolette riprendono ininterrottamente questi verbi. Eccone una piccola carrellata:

hic up        singhiozzare

sniff           annusare

slam           sbattere la porta

bla              parlare a vanvera

hop            saltare

clap            applaudire

gulp           rumore di ingoiare

smack        rumore prodotto di baciare

 

Ciò rende la poesia più onomatopeica e più vicina al registro linguistico quotidiano e, perciò, più vicina alle classi popolari.

 

Le principali figure di RIPETIZIONE sono l’allitterazione, la paronomasia e l’anafora.

 L’allitterazione è la ripetizione dello stesso suono consonantico all’interno dello stesso verso e serve ad evocare suoni, immagini, significati reconditi e subliminali:

 

La mano malata menò il muro oltre

Il confine dell’umano.

 

Comprendiamo che la ‘m’ ripetuta più volte dà un senso instabilità, di debole ma morbida  instabilità.

 

Oppure

“E caddi come corpo morto cade.”

                            ( Inferno Canto V, v 142)

 

L’alliterazione con la ‘c’ richiama il suono cupo prodotto dalla caduta di un corpo morto e dà maggiore efficacia comunicativa e suggestiva al verso. Chi legge ad alta voce il verso sente la consonante esplodergli in bocca, la lingua che tocca il palato con forza occlusiva trasmette al corpo del lettore una forza magnetica inarrestabile e tagliente.

La PARONOMASIA è l’accostamento di due parole di diverso significato, quasi identiche nella forma.

‘E porta la mano sulla maniglia della porta’.

Qui la coppia ‘porta/porta ha due significati completamente diversi, ma serve a legare indissolubilmente i significati profondi dei due fino a fonderli e a produrre un nuovo ed inedito significato in cui confluiscono il gesto e l’oggetto. Addirittura James Joyce produce una paronomasia con tre vocaboli scritti in modo differenti ma dallo stesso suono e realizza una efficacissima immagine sonora che riecheggia nell’occhio del lettore e fa più o meno così:

‘His sole soul was a sole’

ove sole significa solitaria e anche suola di scarpa e soul, la cui pronuncia è identica alla coppia di prima  e che significa ‘anima’. Per cui l’anima solitaria diventa dura, insensibile come una suola di scarpa. I tre termini si fondono in un’immagine poderosa, potente, esplosiva. Il poeta, che scrisse il verso agli inizi del ‘900, sintetizza la condizione esistenziale in cui l’umanità si sarebbe trovata nei decenni successivi, e così è stato.

Ed infine c’è l’ANAFORA, che è la ripetizione di una o più parole identiche in successione. Con l’anafora ciascuna delle due parole riverbera il proprio significato sull’altra, rafforza la parola, ne accentua la valenza semantica, crea ulteriori attese e prepara diversificazioni:

Ascolta, Piove

dalle nuvole sparse.

Piove su le tamerici

salmastre ed arse,

piove su i pini

scagliosi ed irti

piove su i mirti… (G. Dannunzio)

 

L’anafora dà un significato magnetico all’intera poesia e sembra ammorbidire l’asprezza dei vocaboli con cuori consonantici aspri, duri, urticanti come arse, irti, scagliosi, mirti. La pioggia rende tutto e tutti più dolci, più umani, vellutati e pronti a fondersi con la natura, a rientrare in un rapporto vero con il creato. Il D’Annunzio sente fondamentale ed esiziale un sincero e amorevole rapporto natura/umanità per il futuro dell’uomo. Ieri come oggi. Forse oggi più impellente di ieri. Con una semplice anafora la poesia riesce a comunicare molto più di intere enciclopedie.

Questa è la potenza della poesia.

Alla prossima.

Prof. Giuseppe Rotoli

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