PIGNATARO M. – Della gravissima situazione di caccia all’uomo nei confronti dei giornalisti non asserviti al potere politico-mafioso e alle consorterie camorristiche a Pignataro Maggiore, si è parlato anche in un altro dei processi nati dall’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Napoli del 23 febbraio 2009 denominata “Operazione caleno” (dei valorosi pubblici ministeri dottor Giovanni Conzo e dottoressa Liana Esposito). In data 25 ottobre 2012, infatti, davanti alla seconda Corte d’Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, presidente la dottoressa Maria Alaia, giudice a latere la dottoressa Eleonora Pacchiarini, nel processo a carico del sanguinario superboss Raffaele Ligato e dei figli Pietro e Raffaele Antonio, oltre che nei confronti di Pietro Mercone, Maurizio Mauro, Michele Lettieri e Primo Letizia, è stato ascoltato quale testimone il giornalista Enzo Palmesano. Le imputazioni, a vario titolo, fanno riferimento ad associazione mafiosa, estorsioni, attentati incendiari e aggressioni.
Rispondendo alle domande del pubblico ministero Liana Esposito, Palmesano ha ricordato le sue inchieste giornalistiche pubblicate sui quotidiani locali “Corriere di Caserta” e “Giornale di Caserta” riguardanti il clan Lubrano-Ligato e gli intrecci tra politica e cosche, soprattutto con epicentro Pignataro Maggiore, città tristemente nota come la “Svizzera della camorra”. Palmesano, inoltre, ha parlato delle minacce di morte di cui fu vittima il 21 settembre 1998, quando ricevette una lettera raccomandata – spedita dall’ufficio postale di Vitulazio – contenente un proiettile e un messaggio composto con lettere ritagliate da una rivista, dal seguente tenore: “Bastardo mettiti un cerotto sulla bocca se no sei morto, la tua vita è nelle nostre mani”. Il giornalista presentò immediatamente denuncia-querela e, a seguito delle indagini dei carabinieri delle Stazioni di Pignataro Maggiore e di Vitulazio e della Compagnia di Capua, fu individuato Pietro Ligato quale autore della minaccia e fu citato a giudizio davanti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere; Palmesano si costituì parte civile con l’assistenza dell’avvocato Salvatore Piccolo di Luigi. Il 5 marzo 2007, però, Pietro Ligato fu assolto “per non aver commesso il fatto”. Il collaboratore di giustizia Giuseppe Pettrone, ex luogotenente del pericoloso boss, ha comunque confermato, anche nel corso dell’attuale dibattimento, che fu proprio Pietro Ligato a spedire il plico con il proiettile e le minacce di morte ai danni di Enzo Palmesano.
In un altro dei processi nati dall’“Operazione Caleno”, quello che si sta svolgendo davanti alla seconda sezionale penale collegio “C” del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, presidente la dottoressa Maria Francica, il giornalista Enzo Palmesano è parte offesa e costituita parte civile (sempre assistito dall’avvocato Salvatore Piccolo di Luigi, con studio legale in Sparanise) contro un nipote acquisito del defunto capomafia Vincenzo Lubrano, Francesco Cascella, un militare di carriera attivo pure nel mondo del giornalismo, imputato di violenza privata con l’aggravante camorristica. Sulla scorta di una serie impressionante di intercettazioni ambientali effettuate dai carabinieri del comando provinciale di Caserta, con microfoni piazzati nella villa bunker del capomafia in Contrada Taverna, a Pignataro Maggiore, emerse che nell’estate del 2003 Vincenzo Lubrano e Francesco Cascella chiesero ed ottennero che il “Corriere di Caserta” mettesse fine alla scomoda collaborazione di Enzo Palmesano. Scomoda per la camorra, per i politici collusi e i giornalisti asserviti alle più diverse consorterie criminali, affaristico-imprenditoriali, massoniche e partitiche. Anche in questo processo per violenza privata con l’aggravante camorristica è stato ascoltato il collaboratore di giustizia Giuseppe Pettrone. “L’ordine dei boss – ha sottolineato, tra l’altro, Pettrone – era perentorio: fare il vuoto intorno a Enzo Palmesano. E Pietro Ligato voleva uccidere il giornalista”.
Rassegna stampa
articolo di Rosa Parchi
da pignataronews.myblog.it