L’autrice di questa raccolta di racconti ha un merito in più, agli occhi di un redattore di giornale: un nome che ti fa fare subito il titolo. La sua cifra narrativa, infatti, essendo molto riconoscibile, può essere ribattezzato come il “passo della Gambaro”. Daniela Gambaro è nata ad Adria, nel 1976; si è laureata in Scienze della Comunicazione all’Università di Padova, ha frequentato il corso di Sceneggiatura al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e attualmente lavora come sceneggiatrice per il cinema e la tv. “Dieci storie quasi vere” (Nutrimenti, 136 pagine, 15 Euro) è il suo esordio nella narrativa. Si tratta di dieci storie possibili, dieci sguardi sul quotidiano di famiglie, coppie, madri, bambini. Dieci racconti scritti con una penna leggera e precisa, capace di narrare anche le cose più difficili, quelle terribili e scomode che sono così reali, da essere quasi vere. E, per una sorta di deformazione professionale, sembrano storie pensate per il cinema, il mezzo d’espressione che pare il più adatto per esaltare le illuminazioni dell’autrice: con il “passo della Gambaro” accompagnano il lettore a vedere un (possibile) film. La raccolta è stata finalista e ha ottenuto la menzione speciale al “Premio Calvino 2019”.
Il libro di Daniela Gambaro ci accompagna un po’ ovunque, nel mondo della fantasia e di quello di tutti i giorni, che incredibilmente coincidono nell’esistenza di tante persone. Un posto fresco e nascosto, dove vanno a finire tutti i palloni e i segreti d’infanzia. La ricerca di una tartaruga nel giardino di una famiglia pronta al trasloco. Un bambino che col primo sorriso sceglie a chi assomiglierà da grande. Un altro bambino nato così piccolo che sua mamma sogna le verrà ricucito nella pancia, fino a diventare maturo. Una donna che dimentica la figlia in automobile e va al lavoro, e non sa che le tartarughe piangono. Una babysitter che mangia solo pollo fritto, vuole diventare suora e dimentica il gas acceso, così disastrosa da essere tenera. Una stanza in più, dove di certo non può dormire un figlio, che nasconde qualcosa di pesante, qualcosa destinato forse a far crollare la casa intera. Due genitori che usano un inglese d’invenzione per parlare tra grandi e non farsi capire dai bambini. Una madre che ha perso un figlio e non si accontenta della logica e del buon senso, della matematica e della vita. E poi, una bambina luminosa, che attira le zanzare e non può mangiare i popcorn al cinema. Appunto, riecco il cinema.
Red. Cro.