ROMA – L’emergenza coronavirus, tra le tante lezioni che sta impartendo, ci ha insegnato anche che gli attuali vertici del Ministero dell’Istruzione hanno un certo gusto per il paradosso. La mancanza di decisionismo e l’assenza di senso della realtà, infatti, stanno condannando il mondo della scuola a vivere settimane da istituzione “dimezzata”, tra l’ostinazione del ministro e l’impotenza di un sistema spesso trascurato o finito nel vortice delle periodiche controriforme. Questa volta a far discutere è la discrezionalità lasciata a proposito dell’apertura degli istituti superiori.
Anticipando i provvedimenti del governo delle prossime ore, alcune Regioni hanno stabilito il 100% delle ore riservate alla Didattica a distanza per gli alunni delle scuole secondarie di secondo grado, svuotando di fatto le aule per chissà quanto tempo. Fin qui nulla di strano, è la nostra sicurezza che è in pericolo. Il problema è che molti dirigenti scolastici, in assenza di ulteriori elementi in merito, hanno deciso che i docenti dovranno fare lezione nelle aule vuote, davanti ad uno schermo, e in molti casi in assenza di un piano di Didattica digitale integrata (DDI). Quindi basterebbe mandare i docenti a casa per risolvere la questione? Nient’affatto. Per disciplinare il lavoro a distanza degli insegnanti, bisognerebbe rivedere il contratto nazionale e la proposta del governo è stata firmata soltanto da una organizzazione sindacale su quattro (Cgil, Cisl, Uil e Gilda).
Insomma, ancora una volta, da viale Trastevere si fanno trovare impreparati. Dopo il lockdown di qualche mese fa, infatti, il Ministero aveva promesso misure di sicurezza, strutture e docenti in cattedra già per il 14 settembre 2020. A distanza di quasi 50 giorni dalla deadline, si può tranquillamente affermare che nessuna di quelle promesse è stata mantenuta. Partiamo dalle strutture: in base al rapporto tra cantieri aperti e soldi stanziati, si scopre che ogni scuola interessata agli interventi ha avuto a disposizione circa 16mila euro, troppo poco per pensare di ampliare la disponibilità di spazi per le famigerate classi “pollaio”. I “famosi” banchi monoposto con le rotelle sono stati distribuiti a macchia di leopardo, con il risultato che tanti istituti non hanno potuto adottare al meglio le misure di sicurezza. Per quanto riguarda la richiesta di più di 200mila docenti, le cose non sono andate meglio. Ancora oggi (3 novembre) molti istituti non hanno coperto tutti i posti per colpa dei ritardi determinati dall’approvazione delle nuove graduatorie provinciali volute dalla Azzolina, nonostante i tempi stretti, il personale amministrativo ridotto all’osso e la richiesta di proroga delle vecchie graduatorie d’istituto. A questo si aggiungono le richieste di mutua degli insegnanti a rischio per motivi di salute e quelle di ferie dei precari storici impegnati con il concorso straordinario, voluto nonostante la pandemia e che sta portando allo spostamento di docenti in tutta Italia (tra accorpamenti e domande presentate lontano dal luogo di lavoro).
Almeno i termometri frontali sono arrivati, anche se di vertici del Mi non li volevano.
Red.