PIGNATARO MAGGIORE – La sentenza numero 32260/202 della prima sezione penale della Corte di Cassazione fornisce importanti informazioni sullo scenario in maturò l’omicidio del potente boss mafioso Raffaele Lubrano detto “Lello”, ucciso il 14 novembre 2002 in un plateale agguato a Pignataro Maggiore, famigerato paese tristemente conosciuto quale “Svizzera dei clan”. Pubblichiamo a corredo di questo nostro articolo il testo integrale della sentenza, dove si legge tra l’altro: “Il Tribunale rimarcava che l’esecuzione dell’omicidio di un componente della famiglia Lubrano, in ragione della sua caratura criminale e degli accordi in precedenza presi con il clan dei Casalesi, non poteva non richiedere l’assenso di tutte le componenti della confederazione dei Casalesi e non solo degli Schiavone: quindi di Francesco Schiavone detto Cicciariello, Antonio Iovine, Giuseppe Caterino e Michele Zagaria. Non era decisiva, quindi, la mancata indicazione di Giuseppe Caterino come partecipante alla decisione da parte di alcuni collaboratori, mentre erano significative le chiamate in correità evidenziate nel processo a carico di Vincenzo Schiavone da parte di Nicola Panaro, Giuseppe Misso, Antonio Iovine, Massimo Vitolo, Orlando Lucariello e Nicola Schiavone”.
La vendetta del “clan dei casalesi” colpì Lello Lubrano perché aveva partecipato all’omicidio di Emilio Martinelli, fratello di Enrico Martinelli, quest’ultimo ritenuto il capo del gruppo di fuoco del boss Michele Zagaria. Quella del boss pignatarese fu una morte annunciata, Lello Lubrano era consapevole di essere finito nel mirino dei “casalesi”, come si legge ancora nella sentenza della Cassazione: “Nel corso del processo ‘Spartacus’, tenuto davanti alla Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere, il collaboratore di giustizia Antonio Abbate, nelle udienze celebrate dal marzo all’ottobre 2002, aveva accusato i Lubrano dell’omicidio di Emilio Martinelli, fratello di Enrico, che era presente alle udienze. Raffaele Lubrano, dopo quell’accusa, aveva inutilmente chiesto alla madre di Abbate di convincerlo a ritirare le accuse, temendo di essere ucciso. Lubrano era stato convocato davanti agli Schiavone per definire i confini di operatività criminale del suo gruppo. All’epoca dell’omicidio numerosi esponenti del clan dei Casalesi erano liberi perché scarcerati o latitanti”.
Principale bersaglio dei “casalesi” era il capomafia Vincenzo Lubrano, padre di “Lello”, ma “il progetto di uccidere entrambi i Lubrano era stato abbandonato, dopo che Francesco Zagaria aveva convinto Enrico Martinelli, perché era difficile coglierli insieme”.
Rassegna stampa
articolo di Rosa Parchi
da pignataronews.myblog.it