Stregoneria e classi subalterne: una lezione di Carlo Ginzburg allo Sponz Fest

Stregoneria e classi subalterne: una lezione di Carlo Ginzburg allo Sponz Fest

CALITRI – Carlo Ginzburg siede a un tavolo, indossa un pullover rosa e, nonostante la mascherina, è ben visibile il sorriso gentile e curioso con cui accoglie quanti si presentano al suo cospetto per far autografare le copie dei suoi libri: chi gli porge I Benandanti, chi Il formaggio e i vermi, chi Storia Notturna. Ginzburg, penna alla mano, firma le copie e, sempre sorridendo, ascolta le più disparate testimonianze di quanti gli parlano di lupinari(lupi mannari) e streghe: conosce fin troppo bene il paradigma su cui si fonda il variegato rosario di frammenti istantanei fatto di leggende popolari e racconti familiari che gli vengono snocciolati. Lui ascolta e saluta cordiale. A condurlo fino a Calitri, provincia di Avellino, nell’Irpinia più profonda, è stato Vinicio Capossela che ha voluto – per sabato 28 agosto 2021 – il professore alla IX edizione del suo Sponz Fest, da anni uno dei più significativi appuntamenti culturali e artistici del sud Italia. Ginzburg è senza ombra di dubbio uno dei più importanti intellettuali degli ultimi decenni, ha insegnato nelle università di Bologna, Harvard, Yale, Princeton e alla Normale di Pisa, i suoi libri sono stati tradotti in diverse lingue; la sua presenza al festival di Capossela è un’occasione che in tanti non si sono lasciati sfuggire nello spesso arido panorama culturale che contraddistingue le aree interne del Meridione.
Al pari delle streghe e degli stregoni che popolano i suoi libri, Carlo Ginzburg si è presentato accompagnato dall’onirica luce del tramonto alla folta platea che lo attendeva dal pomeriggio, un’audience che di li a poco avrebbe incantato per quasi due ore con i suoi racconti. Il professore è allo Sponz Fest per parlare di “Stregoneria e classi subalterne” e lo fa servendosi del suo lungo percorso, in particolare narrando il processo di genesi del suo saggio Storia notturna Una decifrazione del sabba(Einaudi 1989, Adelphi 2017). Due ore fitte nelle quali Carlo Ginzburg ha rapito la platea con la stessa magia che scaturiva dalle fiabe dei narrastorie popolari durante le notti d’inverno intorno ai focolari; tutti i presenti sono rimasti ad ascoltarlo attenti e in silenzio, in una sorta di estasi indotta dalle parole del professore-sciamano. Ginzburg ha iniziato il suo racconto partendo da lontano, da quando alla fine degli anni ’50 del Novecento scoprì il saggio Les Rois thaumaturges (I re taumaturghi) di Marc Bloch, una lettura cruciale che fece nascere in lui la decisione di voler intraprendere il mestiere di storico. Una scelta che presto venne affiancata da altri due obiettivi ben precisi: studiare le classi subalterne e, in particolare, di farlo attraverso lo studio dei processi per stregoneria, cercando di decifrare il punto di vista dei perseguitati piuttosto che quello degli inquisitori. Strade che Ginzburg intraprese anche grazie alla lettura di tre opere che indica come fondamentali nel suo percorso: i Quaderni del carcere di Antonio Gramsci, Cristo si è fermato ad Eboli di Carlo Levi e Il mondo magico di Ernesto de Martino. Tre grandi intellettuali di cui parlerà a più riprese durante il suo intervento.
Da Gramsci prendono le mosse le riflessioni sulla cultura delle classi subalterne: Ginzburg racconta divertito che fece i primi passi immaginando la persecuzione contro le streghe come una sorta di lotta di classe ante litteram, una visione che in retrospettiva non esita a definire ingenua. E lo ammette sorridendo, il professore. Profondo come l’oceano ma sempre semplice e chiaro, presenta concetti estremamente complessi ma mai in modo complicato. Sulla fortuna del linguaggio di Gramsci, servendosi di un episodio capitatogli durante una conferenza in India, regala una delle riflessioni più affascinanti della serata: il linguaggio dei Quaderni del carcerevenne in qualche modo codificato dall’intellettuale sardo per sfuggire alle fitte maglie della censura a cui era sottoposto, in tale codifica va ricercata la forza del pensiero gramsciano. Un lessico nuovo che riuscì a cogliere l’essenza di alcuni particolari meccanismi di stampo culturale e sociale che agivano tanto tra gli strati proletari metropolitani quanto tra le masse rurali dei paesi capitalisti e delle colonie. Ciò che Gramsci scriveva dei contadini del Sud degli anni ’20 del Novecento si rivelò adatto a descrivere la condizione di molti gruppi sociali e regionali del mondo moderno, come osserva lo storico Eric J. Hobsbawm nel suo saggioPrimitive Rebels. Studies in Archaic Form of Social Movement in the 19th and 20th Centuries(1959, tradotto in italiano da Einaudi nel 1966 con il titolo I ribelli. Forme primitive di rivolta sociale).

Carlo Levi, invece, con Cristo si è fermato ad Eboliha aperto a Ginzburg una finestra sulla cultura e sulle credenze contadine. Ma è da Il mondo magicodi Ernesto De Martino – pur dichiarando di non averne mai condiviso pienamente le tesi – che Carlo Ginzburg dice di aver acquisito una conoscenza fondamentale ai fini del suo punto di vista sui fenomeni che avrebbe indagato a partire dalla stesura de I Benandanti(1966). Si tratta delle pagine che De Martino dedica al saggio The Psychomental Complex of the Tungus(Il complesso psicomentale dei Tungusi, 1935) dell’antropologo russo Sergei Shirokogoroff, in cui Ginzburg incontra per la prima volta il misterioso e magico mondo degli sciamani del popolo siberiano dei Tungusi. Una conoscenza che dice di avere in un certo senso smarrito dalla superficie della sua memoria e di averla collocata in quella che definisce la sua “criptomemoria”, ovvero una dimensione nascosta della mente dalla quale riaffiorano elementi acquisiti dall’inconscio. La specificità dei meccanismi afferenti al paradigma sciamanico incontrato nelle pagine di De Martino irruppe in modo inconsapevole, ma immediato, quando “per caso” lesse per la prima volta la confessione di Menichino da Latisana, un benandante che affermava di recarsi tre volte all’anno “in spirito” a combattere contro streghe e stregoni per la fertilità dei campi. La tradizione estatica contadina dei benandanti friulani gli apparve subito – seppure non supportata in modo saldo dal punto di vista teoretico – connessa con la cultura sciamanica. Il rinvenimento del corpusdi documenti processuali contro i benandanti rappresenta uno degli snodi cruciali del suo percorso; scoperta avvenuta per caso e proprio sulle molteplici implicazioni della casualità Ginzburg pone l’accento più volte durante il suo appassionato intervento. Inoltre, lo scarto venuto alla luce tra il punto di vista dell’inquisitore, che riteneva il benandante uno stregone, e quello dell’interrogato, che asseriva di combattere le streghe, aprì il campo alla consapevolezza del valore profondo nascosto tra le pieghe delle narrazioni anomale rispetto a una norma consuetudinaria. Nella fattispecie la diabolizzazione delle pratiche stregonesche secondo il punto di vista inquisitoriale. Tali anomalie andavano decifrate come frammenti intatti di uno strato di credenze contadine arcaiche che i tribunali dell’Inquisizione tendevano a interpretare quali manifestazioni diaboliche.
Al fine della ricostruzione delle origini di tale strato arcaico di credenze, Ginzburg acquisì la consapevolezza di dover superare metodologicamente sia la comparazione storica proposta da Marc Bloch sia quella etnografica su cui si erano imperniate le ricerche dell’antropologo inglese James George Frazer, autore del monumentale Il ramo d’oro. Studio sulla magia e la religione (prima edizione 1890, edizione definitiva 1915). Per superare i suddetti paradigmi – entrambi inadeguati, presi nella loro singolarità, a decifrare il fenomeno stregonesco – Ginzburg sviluppò la riflessione di Storia Notturna servendosi di un meccanismo di comparazione morfologica, ovvero imperniata sullo studio delle forme. Prospettiva ispirata soprattutto dalla lettura del saggio Note sul “Ramo d’oro” di Frazer (tradotto in italiano da Adelphi nel 1975) del filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein. Le tesi contenute nelle Note sul “Ramo d’oro” di Frazervennero rielaborate e piegate da Ginzburg ai fini della ricostruzione dell’evoluzione del sabba stregonesco nella cultura popolare europea. Per comprendere la portata di tale intuizione può essere utile citare l’osservazione dell’indologa statunitense Wendy Doniger che ha paragonato Carlo Ginzburg a uno degli sciamani dei suoi libri, capace di radunare le ossa di Sir James George Frazer e di averle ricoperte con la pelle di Ludwig Wittgenstein per ridargli la vita. In Storia Notturnala comparazione morfologica – ispirata sicuramente anche dalla vicenda intellettuale e umana di Aby Warburg – Carlo Ginzburg apre lo sguardo del lettore su sconfinati spazi euroasiatici riuscendo a tessere una trama che lega tra di loro streghe e stregoni, lupi mannari e benandanti in estasi, sciamani e divinità, favole e miti. Una trama che in larga parte fonda le sue origini su pulsioni inspiegabili e irrazionali, in particolare sul rapporto con il mondo dei morti e più precisamente sul potere di andare e tornare dall’aldilà. Le ultime battute di Storia Notturnarimarcano in modo inequivocabile tale connotazione: “Nella partecipazione al mondo dei vivi e a quello dei morti, alla sfera del visibile e a quella dell’invisibile, abbiamo già riconosciuto un tratto distintivo della specie umana. Ciò che si è cercato di analizzare qui non è un racconto tra i tanti ma la matrice di tutti i racconti possibili”.
Cercare di condensare le innumerevoli suggestioni della serata è un esercizio impossibile: Ginzburg è un fiume in piena, parla del ruolo di Internet nella società contemporanea, paragona la teoria del complotto – su cui si impernia la prima parte di Storia notturna –alle odierne fobie indotte dalla pandemia; stimolato dalle domande finali provenienti dalla platea ritorna più volte su Gramsci e i “subaltern studies”. Soprattutto, riesce a mettere a nudo uno strato profondo della sua storia personale quando spiega che solo molti anni dopo l’aver iniziato a occuparsi di processi inquisitoriali si rese conto – in seguito a uno scambio di battute con lo storico dell’arte Paolo Fossati – che il suo interesse per streghe ed eretici proveniva, seppure in modo inconscio, dalla sua esperienza di vita in quanto ebreo e quindi vittima della persecuzione nazista. La migliore chiosa per la serata, salutata da una lunga standing ovationdei presenti, viene stimolata dall’ultima domanda inerente il rinnovato interesse intorno alla stregoneria, all’occulto e in particolare sul successo del fenomeno “fantasy”; quesito posto a Ginzburg dal “padrone di casa” Vinicio Capossela. Il professore, sorridendo ancora, risponde di non essere “particolarmente stupito dalla foga del fantasy, mah… è una vecchia storia!”. Una storia antica quanto l’umanità che auspichiamo trovi sempre un Carlo Ginzburg pronto a raccontarla e decifrarla.

Massimiliano Palmesano

(Foto di primo piano ripresa dalla pagina Facebook dello Sponz Fest. Le restanti foto sono di Massimiliano Palmesano)

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