C.s.o.a. “Tempo Rosso”, caccia alle streghe tra inquisizione e retate: né sante, né puttane. Solo donne

C.s.o.a. “Tempo Rosso”, caccia alle streghe tra inquisizione e retate: né sante, né puttane. Solo donne

VITULAZIO – Quello della violenza di genere, oggi, è un campo di argomentazione ben conosciuto e dibattuto dagli organi di stampa che, attraverso una dominante informazione strumentale, tendono a rappresentare la donna in termini di vittimizzazione , il che ci mostra come la rappresentazione della donna nel discorso comune trovi spazio solo attraverso canoni discorsivi patriarcali e di potere, con la netta distinzione tra “la vittima”/ la donna “per bene” e la “poco di buono” / “prostituta”. È di qualche giorno fa l’apparizione sul giornale della notizia di una retata antiprostituzione effettuata dai carabinieri di Vitulazio, conclusasi con la denuncia di “atti osceni in luogo pubblico” e la richiesta di erogazione di un foglio di via obbligatorio, avanzata dai Carabinieri alla Procura, dal territorio vitulatino per tre cittadine rumene sorprese ad adescare clienti. Innanzitutto, per chi non lo sapesse, la Romania, come l’Italia, fa parte dell’Unione Europea. Pertanto nel nostro Paese, e quindi anche a Vitulazio, tali persone non necessitano di permessi di soggiorno. Questa operazione, come quella successiva effettuata a S. Marco Evangelista (CE) con le stesse identiche modalità, è solo uno dei tanti casi avvenuti nel territorio casertano. Le operazioni antiprostituzione sarebbero state incrementate, pare, a causa dell’aumento di incidenti mortali causati dalla distrazione dei conducenti provocata da abiti troppo succinti: atteggiamento, questo, che rientra pienamente nell’ottica di additare la donna come colpevole, capro espiatorio, e che vorrebbe cercare giustificazione anche a spregevoli espressioni quali: “stai attenta a come ti vesti che poi la colpa, se subisci violenze, è tua”. Non di certo ci stupiscono determinati atteggiamenti, frutto di una militarizzazione del territorio che tende a militarizzare menti già impregnate di concetti religiosi e morali, che cercano la propria giustificazione in parole sterili come legalità e sicurezza; atteggiamenti che, attraverso la criminalizzazione di soggetti considerati dai poteri forti come più deboli, favoriscono l’incremento locale dei dispositivi di controllo sociale, raggirando invece le problematiche reali e criminose, spesso bypassate proprio perché interne o risultato di tali dinamiche. Contro ogni forma moralista e di divisione tra ciò che possa essere il bene e/o il male, ci interessa sottolineare come l’ossessione collettiva, che nelle nostre zone si caratterizza nel dibattito sulla sicurezza, vada poi a marginalizzare i corpi che non rispettano il rigore e il ruolo che lo Stato ha assegnato loro. Sembra articolato ma non lo è: la donna che non rispetta il proprio ruolo, che non rientra nei canoni legalitari e principalmente religiosi dentro i quali i poteri forti vorrebbero relegarla, viene criminalizzata in quanto non adempie ai propri doveri. Ci ritroviamo sempre al centro di un discorso che ci vuole principalmente oggetto e non soggetto e che soprattutto innesca, lì dove non ricopriamo i nostri ruoli di donna “per bene”, a subire meccanismi
di rifiuto sociale. Potrebbe riguardare le prostitute ma, in realtà, ci riguarda tutte.
Dichiarare illegale ciò che per alcuni è immorale è una deriva dittatoriale!

Viviamo una continua sacralizzazione, che ci vede subire molteplici ingerenze. Siamo un s-oggetto su cui applicare leggi, censure, ordinanze
a tutela del decoro e della morale, che rappresentano a pieno il controllo che sul corpo femminile viene fatto secondo i canoni di un sistema patriarcale ancora forte. In una cultura maschilista, razzista e che giustifica la repressione che viene sferrata alle donne, rivendichiamo la necessità dell’autodeterminazione come battaglia per la libertà, contro ogni morale che ci identifichi attraverso norme a sfondo
evangelico.
Per autodeterminazione intendiamo la possibilità di essere, di autorappresentarci, di decidere autonomamente dei nostri corpi, e soprattutto di decidere liberamente come procurarsi reddito.

In tema di prostituzione ricordiamo, inoltre, che in Italia offrire sesso retribuito e l’acquisto di sesso, non sono proibiti, a differenza
di quanto tanti bigotti possano pensare; vengono però proibite tutta una serie di condotte collaterali ad esso – ovvero lo sfruttamento della
prostituzione, l’adescamento, la tratta di esseri umani e atti osceni in luogo pubblico. È ovvio che la nostra posizione ci vede condannare chiunque sfrutti, faccia violenza sulle donne, le releghi all’emarginazione, sottolineando  che per lo più si tratta di dinamiche sistematiche del potere capitalistico. Condanniamo infatti la tratta e siamo consapevoli che forse solo la legalizzazione di tale lavoro potrebbe risolvere il problema.

È contro l’idea di confine, di estraneo, di ricerca della purezza che ci battiamo; contro la difesa che di esso ne fa la retorica della sicurezza legalitaria, che porta inevitabilmente al rifiuto dell’alterità e alla condizione di sottomissione. Fra le molteplici forme di violenza, come non considerare la deportazione nei CIE per le donne migranti, o il foglio di via che altro non fa che relegarle in qualche altra zona ancor più periferica. E ritrovarsi in un CIE o in una caserma è spesso sinonimo di maltrattamenti. Sono queste le oppressioni, le censure e le violenze che denunciamo. Favoriamo linguaggi fatti di pratiche di libertà e dato, che il giudizio sta alla legge come la morale bigotta al modello di donna dominante, non ci sentiamo assolutamente parte di tali rappresentazioni ma le rifiutiamo totalmente; piuttosto che additare quale sia l’atteggiamento sconcio da non intraprendere, crediamo che la lotta contro gli stereotipi, lo sfruttamento , le oppressioni e la repressione che vogliono farci vivere, siano l’unica via possibile e percorribile per l’emancipazione.
Un inciso finale va al “One Billion Rising”: un appuntamento per ballare contro la violenza sulle donne, che in Italia è stato strumentalizzato come trampolino di lancio da parte di alcune attiviste appartenenti al Se Non Ora Quando, dal PD al PDL, le quali non fanno altro che parlare la lingua del padrone, proponendo un’immagine di donna etero, per bene, italiana e dedita alla casa e al lavoro. In conclusione, oltre a ribadire che, anche per la questione di genere, il cambiamento sta nelle strade e nelle lotte e non di certo passa per il momentaneo comizio elettorale e attraverso le politiche censoriali, vorremmo ricordare che lo sfruttamento sul lavoro, la schiavizzazione e il ricatto a cui una donna è costretta quotidianamente, non sono altro che il desiderio di perpetrare un sistema che vorrebbe relegare la donna in una condizione di inferiorità, di dipendenza e di debolezza, che va ben oltre la morale.
Ci vorreste schiave, ci avrete sempre e comunque ribelli!

C.S.O.A. Tempo Rosso
temporosso.org

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