La lettera di Giorgio Natale sulla sanità lombarda:
Egr. direttore, incipit: se nelle strutture della Sanità d’Eccellenza, per una visita specialistica bisogna aspettare circa 7 mesi, immagino come staranno inguaiati i miei amici d’infanzia, che invidiavo perché rimasti al paesello d’origine, ove, dicono i certificatori, la sanità non è eccellente
Expositio. Il 24 aprile, prima delle prefissate ore 15, pagato il tributo, mi portai al quarto piano della scala 2 degli Spedali Civili di Brescia, per la visita prenotata a fine settembre 2013. Colà, un addetto, telegraficamente, mi rispose d’attendere la chiamata. Dopo un quarto d’ora, visto che persone arrivate dopo di me erano già state chiamate abbordai l’addetto che mi ripetè di ritornare nella saletta ed attendere.
Paziente, nomen omen (che secondo il manuale di latino letto dagli «alfabetici» come me vuol dire nel nome il destino), mi risedetti con postura rilassata, per affrontare con pazienza l’attesa. Alle 16 ero ancora in (in)paziente attesa cercando di rilassarmi con la respirazione yogica (dei principianti) e con la reminiscenza scolastica di S. Agostino dell’attesa come distensio animi (distensione dell’anima). Alle 16, 30, per l’eccessiva distensio (chi troppo la tira la spezza), scattai dalla sedia ed entrai nella stanza dell’impiegata che sembrava coordinasse il traffico dei pazienti (sempre nomen omen!), la quale, dopo la rituale formula, su mio cortese, ma fermo, sollecito, indagando, scoprì che per quel giorno non era stata prevista la presenza del medico per le «prime visite». La stessa raccolse i nominativi degli altri 5 o 6 pazienti (nomen ecc) e dopo un po’ annunciò l’inizio delle «prime visite».
Epilogo. Verso le sedici e quarantacinque nell’ambulatorio dov’ero stato introdotto si presentò una dottoressa che, empaticamente, a nome della divisione, si scusò per il disservizio e, durante e dopo la visita, fu prodiga di spiegazioni e chiarimenti.
Peroratio (ne). La pubblica amministrazione è, eticamente, tenuta al rispetto del tempo che chiede ad ogni cittadino per gli adempimenti che questi gli delega e , senza retorica, ogni sforamento o superamento del tetto è un vulnus, o sequestro, alla libertà dell’individuo, indipendentemente dal fatto che gli possa far saltare le libere attività programmate o gli altri obblighi familiari e sociali(come il ritiro dei minori all’asilo, l’assistenza ai familiari bisognosi, il rientro al lavoro). Siccome il mio iter alla riconquista della buona forma e salute perduta non s’è concluso, anche in vista dei prossimi appuntamenti ambulatoriali, come auspicio scaramantico, ricordando che Aristotile diceva essere l’ironia la miglior forma d’amore verso gli uomini e le cose, con autoironia (che quindi dovrebbe essere la migliore forma d’amore verso se stessi) chioso con: Io, speriamo che me la cavo.
Giorgio Natale
BRESCIA