La cultura e la religione dei popoli dell’antichità traevano origine da racconti mitologici collocati in una dimensione talmente remota da porsi fuori dal tempo. Tale universo narrativo costituiva non soltanto un serbatoio di storie avventurose e appassionanti, ma anche uno strumento per costruire, trasmettere e comunicare modelli di pensiero e forme di comportamento sociale propri della cultura in cui il racconto si era cristallizzato.
Il racconto sacro forniva innanzitutto un paradigma di riferimenti a cui aderire nella vita quotidiana. Questo rapporto è al centro di un libro, “Il sapere mitico – Un’antropologia del mondo antico” (Einaudi, 598 pagine, 30 Euro) a cura di Maurizio Bettini, classicista, scrittore e direttore del Centro Antropologia e Mondo Antico dell’Università di Siena. Il volume attraversa e analizza nel profondo i temi che con maggiore rilevanza emergono nei miti e nei racconti dei Greci e dei Romani: l’essere umano, il divino, il genere, lo spazio e il tempo. Nel mondo antico, l’intera area mediterranea si caratterizzò quale inesauribile fucina di narrazione e storie fantastiche che affascinarono e influenzarono in modo netto l’esistenza di generazioni di uomini e donne per millenni. Il saggio affronta i temi mitici sotto una prospettiva antropologica – oltre che storica – con l’intento di decifrare i significati materiali e quotidiani nascosti nelle trame delle narrazioni. Miti che, come nel caso italico-romano, collegano la cultura di riferimento all’inizio del tempo, a uno strato cronologico talmente remoto da porsi fuori della storia: il periodo che i poeti antichi chiamarono “Età dell’oro”. Un’era in cui gli esseri umani per vivere non avevano bisogno di lavorare ma godevano di ciò che la natura offriva loro; non vi erano leggi e giudici a regolare i comportamenti e le relazioni sociali. Uomini e donne vivevano a stretto contatto con creature fantastiche come i fauni indigeni e le ninfe, e con esseri divini. Tra questi ultimi, una posizione apicale era occupata da una figura che pare essere originaria e caratteristica del mondo italico: il dio Giano dal doppio volto. Una divinità proveniente direttamente dal caos originario che, prima in forma sferica quindi nella sua manifestazione bifronte, presiedeva all’origine e all’inizio di ogni cosa. Il suo ambito d’azione erano i passaggi cosmici e anche quelli fisici. Non è un caso se in latino il nome della porta è “ianua”e quello del primo mese di gennaio “ianuarius”. L’equilibrio primordiale di tale dimensione idilliaca che caratterizzava le campagne italiche nell’”Età dell’oro” venne rotto e stravolto dall’introduzione del tempo e della storia. Un cambiamento radicale che nei miti è rappresentato dall’arrivo nella penisola del dio Saturno, il greco Kronos(ovvero il Tempo), in fuga perché spodestato dal figlio Zeus. Il dio-re autoctono Giano associò quindi il Titano Kronosal suo regno: per questo il territorio che lo aveva nascosto e ospitato in seguito venne chiamato Lazio, dal latino “latere”che significa “nascondere”.
Tutti i temi analizzati nel libro sono sviluppati secondo una prospettiva antropologica e organizzati in modo da consentire una visione sinottica delle corrispondenze – e delle non meno significative differenze – tra civiltà greca e romana. Spesso le due culture sono ancora trattate (non in questo volume) come un unicumindistinto e confuso, nel quale la civiltà romana viene sistematicamente descritta come una copia sbiadita del supposto originale greco. Negli innumerevoli racconti di cui il saggio si compone, narrazione e conoscenza si intrecciano, per spalancare altrettante finestre sul mondo affascinante della cultura antica.
Massimiliano Palmesano