Il racconto dello scrittore austriaco Thomas Bernhard, “Ungenach” (Adelphi, 98 pagine, 10 Euro, traduzione di Eugenio Bernardi), è tutto incentrato – come recita il sottotitolo – su “Una liquidazione”. Ungenach è il nome della sconfinata proprietà fondiaria nell’Austria Superiore toccata in eredità ai due fratelli Zoiss. Ma, ancorché ricchissimo, splendido agglomerato di frutteti, campi coltivati, boschi, cave, tenute e fabbricati rurali, Ungenach è precisamente quello che ha spinto i due Zoiss a fuggire il più lontano possibile: Karl in Africa, Robert negli Stati Uniti. Per Karl, infatti, rimanere a Ungenach “significa pazzia”, e per Robert Ungenach è “un peso spaventoso e nient’altro” – anche il padre, del resto, per tutta la vita “ha sentito Ungenach come un carcere”. Immensa devastazione, “rovina della natura e dello spirito”, “inferno del cattivo gusto”, Ungenach è il labirinto ossessivo dei ricordi e della mente, l’aborrito luogo dell’Origine. E, rimasto unico erede dopo la morte del fratello, Robert si sbarazzerà di tutto con una sconcertante donazione, compiuta “come un delinquente compie il suo delitto” e, beffardamente, a favore di una trentina di assurdi beneficiari, fra cui un “teologo della natura”, quattro carcerati e un ricoverato in manicomio. Un atto liberatorio che, di fatto, causerà l’irreversibile estinzione di Ungenach, fosco compendio di ogni realtà fisica e mentale – “poiché è la rovina il punto verso cui tutto converge”.
Si legge tra l’altro nello straordinario racconto di Thomas Bernhard (1931-1989), tra i più importanti autori del Novecento: “(…) continuando a patire il freddo, dato che la città di Coira è una delle più fredde che esistano, la più buia che io conosca, e gli abitanti dei Grigioni sono cupi – o scemi – o comunque balordi a causa del buio e del freddo, e a Coira, ma soprattutto a casa di mio zio Zumbusch, la gente è costretta a riscaldare anche d’estate, quando, come adesso, piove ininterrottamente; io però sono finito in una stanza in cui non c’è la stufa, e che quindi non può essere riscaldata; tuttavia la sosta è proficua. Con gli orecchi intronati per via della cascata sotto la mia finestra, annotai: arrivato a Ungenach (3 aprile), ho visto subito che Ungenach è completamente deserta e che io, come avevo temuto per tutto il tempo pur cercando sempre di convincermi del contrario, sono arrivato troppo tardi per il funerale del mio tutore… e decisi di non andare affatto a Ungenach e quindi nemmeno ad Aurach, che dista dieci chilometri e dove in quel momento stava sicuramente svolgendosi il funerale del mio tutore, bensì, dato che da parte mia non c’è mai stato il proposito, ma solo l’ininterrotto rifiuto di vedere i miei parenti, e non volendo affatto discorrere con loro, e tanto meno discorrere a proposito di Ungenach, decisi di recarmi, a quel punto, dal notaio (…)”.
Red. Cro.